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Permesso di costruire in deroga, sullo stato di degrado dell’area urbana decide il Comune

di Daniela Casciola

Il permesso di costruire in deroga introdotto dal Decreto Sviluppo (Dl 70/2011) è ammesso solo dove gli «edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare» si collochino in aree urbane degradate. La valutazione in ordine alla natura “degradata” dell'area spetta al consiglio comunale ed è connotata da ampia discrezionalità tecnica sindacabile solo in presenza di profili di «macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento del fatto». Sono queste le conclusioni del Tar Piemonte con la sentenza n. 1028/2018.

Il caso
La vicenda ruota attorno al diniego espresso da un Comune dell'hinterland torinese nei confronti della richiesta da parte di due società del rilascio di un permesso di costruire in deroga per la realizzazione su un'area di loro proprietà su c’erano «manufatti in cattivo stato di manutenzione» di due edifici a destinazione commerciale. Il consiglio comunale ha espresso parere negativo sull'istanza non riconoscendo la sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla realizzazione dell'intervento edilizio e alla contestuale deroga allo strumento urbanistico.

La decisione
L'articolo 5 del Dl 70/ 2011 convertito dalla legge 106/2011 dispone che «Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili (…) è ammesso il rilascio di un permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 anche per il mutamento delle destinazioni d'uso, purchè si tratti di destinazioni tra loro compatibili e complementari (…)».
Il Tar ha preliminarmente chiarito che nel rilascio del permesso in deroga previsto dal Decreto sviluppo, la natura privata e speculativa dell'intervento edilizio non è di per sé ostativa all'individuazione di un interesse pubblico, purché l'intervento realizzi, nel contempo, l'interesse pubblico alla razionalizzazione e riqualificazione delle aree urbane degradate e si tratti di destinazioni d'uso tra loro compatibili e complementari.
L'esistenza di «edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare» costituisce un presupposto sufficiente a consentire il rilascio di un permesso di costruire in deroga soltanto nel caso in cui tali edifici si collochino in aree urbane degradate. La valutazione circa la sussistenza di questo presupposto, e in particolare circa l'esistenza di aree urbane “degradate”, è rimessa per legge al consiglio comunale; si tratta di una valutazione connotata da ampia discrezionalità tecnica, tenuto che conto che essa può comportare deroghe più o meno estese alla vigente strumentazione urbanistica, e che per tale motivo è sindacabile da questo giudice solo in presenza di profili di macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento del fatto: profili che, nel caso di specie, il collegio non ha rilevato.
L'articolo 5, comma 9, consente un permesso in deroga agli strumenti urbanistici ma non obbliga l'amministrazione a concederlo: in quanto istituto derogatorio del principio per cui lo strumento urbanistico va rispettato finché è in vigore, l'amministrazione è titolare di poteri ampiamente discrezionali di carattere «latamente politico implicanti valutazioni di merito che potrebbero persino prescindere da particolari motivazioni di carattere tecnico sindacabili entro i limiti della macroscopica illogicità, irragionevolezza o di travisamento del fatto».

La sentenza del Tar Piemonte n. 1028/2018

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