Appalti

Appalti, nulla l'esclusione dell’offerta con un costo del lavoro inferiore a quello del contratto collettivo

di Amedeo Di Filippo

La previsione dell'esclusione dalla gara del concorrente che offra un costo medio orario del lavoro inferiore a quello previsto nel contratto collettivo è nulla e deve essere disapplicata, in quanto integra un'ipotesi di esclusione ulteriore rispetto a quelle tassativamente previste dal codice dei contratti. Lo afferma la terza sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5492/2018.

Il caso
Il giudizio verte sulla legittimità del provvedimento di aggiudicazione di un servizio a favore di impresa che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara in applicazione della clausola del disciplinare di gara che espressamente sanzionava con l'inammissibilità le offerte economiche che esponessero un costo medio orario del lavoro inferiore a quello ricavabile dal contratto collettivo e dalle tabelle ministeriali dell'articolo 23, comma 16, del Dlgs 50/2016. Clausola che secondo i giudici di Palazzo Spada è affetta da «nullità nominata» secondo l'articolo 21-septies, comma 1, della legge 241/1990, in combinato con:
• l'articolo 83, comma 8, del Codice dei contratti, che impone alle stazioni appaltanti si indicare le condizioni di partecipazione richieste, a patto che i bandi non contengano «ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle»;
• l'articolo 97, comma 5, lettera d), del Codice, ai sensi del quale la stazione appaltante esclude l'offerta anormalmente bassa qualora il costo del personale sia inferiore ai minimi salariali retributivi.

Il costo
L'articolo 97 del codice - afferma la terza sezione - correla la sanzione espulsiva per anomalia dell'offerta alla sola ipotesi in cui il costo del personale sia inferiore ai minimi salariali retributivi indicati nelle tabelle ministeriali, ponendo confini più ristretti rispetto all'ipotesi in cui il costo medio orario risulti inferiore a quello stabilito dal contratto come era stato prescritto nel disciplinare di gara: «costo medio orario del lavoro» è cosa diversa da «trattamento retributivo minimo» e la considerazione del primo «modifica palesemente e sostanzialmente il disposto normativo». Del resto, il secondo viene desunto direttamente dal contratto e non ha necessità di alcuna operazione di carattere statistico-elaborativo; il primo (il costo medio orario) costituisce il frutto dell'attività di elaborazione del ministero, che lo desume dall'analisi e dall'aggregazione di diversi dati inerenti a molteplici istituti contrattuali.
Nemmeno si può sostenere - conclude la terza sezione - che la clausola costituisca espressione del potere discrezionale dell'amministrazione di individuare i requisiti dell'offerta economica incrementando lo standard di tutela dei diritti retributivi dei lavoratori dell'impresa appaltatrice: da un lato la tesi attribuisce alla stazione appaltante un potere atipico che elude il principio normativo di tipicità delle cause di esclusione; dall'altro, la fissazione del minimo inderogabile in corrispondenza del costo medio orario del lavoro desunto dalla tabelle ministeriali non si traduce necessariamente nella garanzia di un più elevato trattamento retributivo.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5492/2018

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