Appalti

La domanda di concordato preventivo legittima l'esclusione dalla gara

di Stefano Usai

La domanda di ammissione al concordato preventivo, intervenuta durante la gara, senza l'adempimento di alcuni oneri imposti dalla legge fallimentare che consentono il mantenimento dei requisiti generali, costituisce un legittima causa di esclusione dal procedimento. In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, sezione III, con la sentenza n. 5966/2018.

La questione
Un appaltatore ha impugnato la sentenza del Tar Lombardia per la conferma della propria esclusione dal procedimento di gara di cui è risultato inizialmente aggiudicatario. Durante il procedimento di assegnazione dell'appalto – tra la fase dell'aggiudicazione provvisoria e quella definitiva - il ricorrente ha presentato presso la cancelleria del tribunale «la domanda prenotativa ex art. 161 comma 6 R.D. n. 267/1942», con cui ha proposto ai creditori, in alternativa, «il soddisfacimento delle ragioni di credito tramite la sottoscrizione di accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis ovvero, nel caso ciò non si concludesse entro il termine fissato dal giudice ai sensi dell'art. 161, 6°comma, un concordato preventivo, ove ne sussistano le condizioni, in continuità ex art. 186 bis L.F.».
Secondo il responsabile unico della stazione appaltante la richiesta di concordato preventivo «in bianco» non assistito da particolari condizioni – le sole in grado di consentire il mantenimento dei requisiti dell'appaltatore e la sua “permanenza” in gara – costituiva secondo l'articolo 38 del pregresso codice (e ora articolo 80, comma 5, lettera c) dell'attuale codice dei contratti) una causa di esclusione. Del provvedimento di estromissione, come già in primo grado, l'appellante contesta la legittimità sia per differenti interpretazioni giurisprudenziali e per presunti contrasti in seno alla stessa Anac (in particolare tra le determinazioni n. 3/2014 e n. 5 del 2015).

La posizione del giudice
Il giudice ha respinto l'assunto e ha confermato la statuizione di primo grado rimettendosi, tra gli altri, ai principi stabiliti in tema dall'Adunanza Plenaria (sentenza n. 1/2010).
In particolare, ha evidenziato che nel caso in cui un concorrente ovvero un creditore presenti domanda di concordato, non può certamente sostenersi che sussista (solamente) una «procedura in corso» di concordato preventivo, in quanto l'iniziativa del creditore potrebbe essere strumentale o infondata.
Al contrario, le predette preoccupazioni «possano dirsi superate dal fatto che è lo stesso imprenditore a chiedere l'ammissione alla procedura concorsuale, con una condotta che ben può ritenersi confessoria della consapevolezza del proprio stato di dissesto» per cui ben può ritenersi che, in questi casi, la procedura sia “in corso” ai fini dell'applicabilità della deroga.
Si legge nella sentenza che la domanda dell'impresa di ammissione alla procedura concorsuale «costituisce una diretta ed inequivocabile ammissione del suo stato di crisi e dunque costituisce una procedura “in corso”» a norma delle disposizioni codicistiche, che in ogni caso inibiscono la partecipazione alla gara, «fatta salva la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione della deroga di cui all'art. 186-bis della Legge Fallimentare».
Il mantenimento dei requisiti generali che legittimano la partecipazione di imprese che o sono già state ammesse al concordato con continuità aziendale ovvero alle società che abbiano presentato l'istanza di ammissione al concordato preventivo «in bianco» o «con riserva» in base all’articolo 161, comma 6, della legge fallimentare esige però l'assolvimento di determinati oneri rimasti inadempiuti nel caso di specie.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5966/2018

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