Appalti

Abuso d'ufficio e turbata libertà del procedimento per il frazionamento artificioso dell'appalto

di Ilenia Filippetti

Risponde di abuso d’ufficio e di falso ideologico il ragioniere comunale che abbia concorso all’adozione di provvedimenti finalizzati al frazionamento di alcuni appalti, al fine di consentire l’affidamento diretto degli stessi o, in altri casi, la proroga di contratti ancora in corso di esecuzione. È questo il principio affermato dalla Cassazione penale, sezione sesta, con la sentenza n. 1743 del 15 gennaio 2019.

Il caso
Il Tribunale di Salerno dispone la sospensione dall'esercizio dai pubblici uffici, per la durata di un anno, di un responsabile del servizio ragioneria di un comune della Campania, il quale aveva espresso parere favorevole di regolarità contabile per alcuni atti amministrativi relativi a procedure sottoposte ad indagine penale per i reati di abuso, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (relativamente all'approvazione di delibere per la gestione del servizio raccolta rifiuti) nonché per i reati di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e di falso in atto pubblico (relativi alla simulazione di una gara per l'acquisto di una macchina pulisci-spiaggia che l'Amministrazione comunale si era già procurata) e per il reato di abuso di ufficio (in quest’ultimo caso, a fronte dell'affidamento di un incarico di consulenza esterna per la quale i requisiti dei candidati erano stati cuciti su misura di uno dei concorrenti già previamente individuato come il futuro vincitore).
Alla luce di alcune conversazioni intercettate, atti oggetto di contestazione erano risultati esser stati adottati in violazione delle norme vigenti in materia di appalti pubblici, trattandosi di provvedimenti funzionali a soddisfare gli interessi dell’imputato e dei correi piuttosto che l’interesse pubblico istituzionalmente sotteso all’adozione dei predetti provvedimenti: più in particolare, la violazione della normativa sugli appalti era consistita nella prassi di frazionare i servizi oggetto di assegnazione in modo tale da procedere al relativo affidamento diretto mentre, in altri casi, la stessa era consistita nell’illegittima proroga dei contratti in corso di esecuzione.

La decisione
Con la pronuncia in esame il ricorso proposto dal ragioniere comunale contro la sospensione dall'esercizio dei pubblici uffici viene rigettato.
Secondo la Corte di cassazione, infatti, il provvedimento adottato dal Tribunale campano riportava una descrizione dettagliata dei profili di illegittimità dei provvedimenti adottati e del frazionamento di vari appalti, frazionamento disposto al fine di procedere all’affidamento diretto o, in alcuni casi, alla proroga di alcuni contratti ancora in corso di esecuzione.
A carico dell'indagato, in particolare, il Tribunale aveva evidenziato che quest’ultimo, nella sua qualità di responsabile della Ragioneria comunale, aveva apposto il visto di regolarità contabile su tutte le determinazioni relative ai predetti appalti ed aveva anche riferito al Sindaco il contenuto di un colloquio intercorso con uno degli imprenditori correi coinvolti nella vicenda, il quale reclamava la necessità di far sì che l’appalto ad esso assegnato avesse durata quadriennale dell'appalto; lo stesso ragioniere aveva inoltre riferito al medesimo Sindaco di essere impegnato nella preparazione del relativo bando di gara. Secondo la Suprema corte, inoltre, con riguardo alla configurabilità dei reati afferenti alla procedura per l'acquisto della macchina per la pulizia delle spiagge – procedura che costituiva, in realtà, un mero escamotage formale adottato dall'Amministrazione per il pagamento dell'automezzo di cui il Comune aveva già acquisito la materiale disponibilità – oppure dei reati relativi all'affidamento dell'incarico di esperto esterno ad un soggetto ben individuabile grazie ad un ‘bando-fotografia’, il Tribunale di prime cure aveva adeguatamente motivato la sussistenza di un ampio e preciso quadro indiziario e ne aveva condiviso la correttezza dell'inquadramento giuridico: era stato ben evidenziato, peraltro, che la partecipazione dell'indagato alla commissione dei reati non discendeva esclusivamente dai pareri di regolarità contabile che questi aveva apposto sui provvedimenti adottati da altri organi, ma era consistita – così come attestato anche dal contenuto di varie intercettazioni acquisite – in precisi suggerimenti ed, in alcuni casi, nella stessa predisposizione degli atti di gara (delibere e bandi), condotte, queste, tutte strumentali al raggiungimento dello scopo illecito, idonee a rafforzare, in ogni caso, anche il proposito criminoso dei correi. La ricostruzione del Tribunale non era tacciabile, pertanto, della manifesta illogicità lamentata dal ragioniere, considerato anche che, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale acquista rilevanza non soltanto quando tale contributo abbia efficacia causale e costituisca la condizione dell'evento illecito, ma anche quando il predetto contributo assuma la forma di un’agevolazione e di rafforzamento del proposito criminoso già esistente negli altri correi e sia dunque idoneo ad aumentare la possibilità di commissione del reato (così Cassazione penale, Sezione VI, n. 36125/2014): da ciò consegue dunque, per la Suprema corte, l’irrilevanza del fatto che i provvedimenti amministrativi finali fossero stati adottati, secondo le competenze interne dell'ente, da un soggetto diverso dall’imputato, tenuto conto della dimostrazione dell’esistenza di un preciso contributo agevolatore, da parte dell'indagato, nell’adozione dei provvedimenti amministrativi illegittimi.

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