Appalti

Alla gara d'appalto va ammessa anche l'impresa sotto sequestro penale

di Ilenia Filippetti

Il sequestro preventivo delle quote sociali dell’aggiudicatario non ne impone l’esclusione dalla procedura di gara. È questo il principio affermato dal Consiglio di Stato, sezione quinta, con la sentenza n. 291 del 14 gennaio 2019.

Il caso
Nel maggio del 2017 l’Inps indiceva una procedura aperta per l’affidamento del servizio di vigilanza presso gli immobili della Direzione regionale situati nel Lazio. All’esito dell’aggiudicazione provvisoria della gara due degli altri concorrenti chiedevano alla stazione appaltante di riesaminare la graduatoria finale, avendo appreso che la mandante del raggruppamento temporaneo risultato primo classificato era stata destinataria, nel dicembre dello stesso 2017, di un provvedimento giudiziario di sequestro penale delle quote societarie. Tale richiesta di riesame veniva tuttavia respinta dalla stazione appaltante, che, al contrario, disponeva l’aggiudicazione definitiva dell’appalto in favore del predetto Rti, evidenziando che l’impresa mandante – e con esso il raggruppamento di cui la stessa faceva parte – risultavano comunque in possesso dei requisiti di ordine generale di cui all’articolo 80 del Codice dei contratti pubblici poiché non ricorreva, «in relazione al predetto sopravvenuto provvedimento giudiziario di sequestro penale delle quote societarie, alcuno dei motivi di esclusione di cui al citato articolo 80 Dlgs n. 50/2016 e alle Linee guida Anac n. 6». L’aggiudicazione veniva impugnata dinanzi al Tar per il Lazio e, da ultimo, avanti al Consiglio di Stato che, con la pronuncia in rassegna, dichiara l’appello infondato.

La decisione
Il ricorrente deduceva che il raggruppamento aggiudicatario avrebbe dovuto essere escluso dalla gara in quanto per la relativa mandante era stato disposto nel dicembre 2017 il sequestro preventivo delle quote sociali, in relazione ad un procedimento penale attivato, a sua volta, in capo ad una società, dalla quale la mandante aveva affittato il ramo di azienda.
Il Consiglio di Stato evidenzia che, nel caso di specie, la stazione appaltante ha legittimamente ritenuto che non ricorresse, nella fattispecie, alcuno dei motivi di esclusione legati a condanne penali di cui all’articolo 80, commi 1 e 3 del Dlgs n. 50/2016, né alcuno dei motivi di esclusione legati a irregolarità fiscali di cui all’articolo 80, comma 4, né, ancora, alcuna delle situazioni di cui all’articolo 80, comma 5, motivi e situazioni in presenza dei quali si impone l’esclusione dell’operatore economico «in qualsiasi momento della procedura».
Più in particolare, per quanto attiene all’ipotesi dei gravi illeciti professionali di cui all’articolo 80, comma 5, lett. c), secondo il Supremo consesso l’esistenza di un provvedimento di sequestro penale delle quote non appare integrare alcuna delle fattispecie contemplate dalla predetta disposizione, posto che:
a) non prefigura carenze significative nell’esecuzione di precedente contratto;
b) non concreta tentativo di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate ai fini di proprio vantaggio;
c) non attiene all’ipotesi delle dichiarazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione e dell’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento delle procedure di selezione (posto che, nella specie, il sequestro era stato disposto nel dicembre 2017, e quindi soltanto dopo la formalizzazione dell’offerta, avvenuta nel maggio dello stesso anno);
d) non integra alcuna delle altre situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico.
Il sequestro preventivo di cui all’articolo 321 del codice di procedura penale può essere disposto quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente alla commissione di un reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso oppure agevolare la commissione di altri reati. Si tratta di una misura cautelare di carattere reale che – fermo restando il principio di la presunzione di innocenza di cui all’articolo 27 della Costituzione, che informa tutto l’ordinamento penale – ha la funzione di impedire che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravarne o protrarne le conseguenze, oppure di agevolare la commissione di altri reati. Si tratta quindi di una misura volta ad incidere sui possibili sviluppi di reati già consumati, per evitare gli ulteriori possibili effetti; esso ha, inoltre, un’efficacia tendenzialmente provvisoria e rebus sic stantibus, con la conseguenza che gli effetti del vincolo vengono meno a seguito della sentenza che definisce il giudizio, di qualunque tenore essa sia, di assoluzione, di condanna o non luogo a procedere.
In definitiva, avuto riguardo al canone di tassatività delle clausole di esclusione, nel caso di specie la mandante del Rti risultava essere in possesso dei requisiti di ordine generale per la partecipazione alla procedura in oggetto, e con essa il costituendo Rti di cui faceva parte. Il Supremo consesso nota, peraltro, che tale conclusione è ulteriormente corroborata dall’orientamento dell’Anac (espresso con deliberazione n. 92/2012), secondo la quale il provvedimento di sequestro non comporta la perdita dell’idoneità soggettiva alla prosecuzione dell’attività di impresa e non è di per sé idoneo a determinare la decadenza automatica della società dai rapporti giuridici in essere inter partes.

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