Fisco e contabilità

Nessun obbligo di impugnare subito la nomina della commissione

di Stefano Usai

L'appaltatore non ha alcun onere di impugnare immediatamente l'atto di nomina della commissione di gara in quanto non automaticamente lesivo delle proprie prerogative. In questo senso si è espresso il Tar Veneto, Venezia, sezione I, con la sentenza n. 207/2019.

Le censure
Il ricorrente (tredicesimo classificato nella graduatoria di aggiudicazione) si lamentava dell'illegittima composizione della commissione di gara pretendendo l'annullamento dell'aggiudicazione. La stazione appaltante ha evidenziato che l'impugnazione dell'atto di nomina della commissione avrebbe dovuto avvenire immediatamente e non a conclusione della procedura. La tesi difensiva viene respinta dal collegio veneto sul presupposto che, in base al pacifico orientamento giurisprudenziale (e anche all'intervento dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 4/2018), non è configurabile un onere di immediata impugnazione della nomina dei componenti della commissione.
Al riguardo, in particolare, si è evidenziato che «nelle gare pubbliche l'atto di nomina della Commissione giudicatrice, al pari degli atti da questa compiuti nel corso del procedimento, non produce di per sé un effetto lesivo immediato, e comunque tale da implicare l'onere dell'immediata impugnazione nel prescritto termine decadenziale». Pertanto, la nomina del collegio valutatore può essere posposta al «momento in cui, con l'approvazione delle operazioni concorsuali, si esaurisce il relativo procedimento amministrativo e diviene compiutamente riscontrabile la lesione della sfera giuridica dell'interessato (cfr. C.d.S., Sez. III, 11 maggio 2018, n. 2835; v. altresì C.d.S., Sez. V, 18 ottobre 2018, n. 5958 e T.A.R. Campania, Salerno, Sez. I, 7 maggio 2018, n. 706)». Alla luce di questo orientamento, i bandi, i disciplinari, gli atti costitutivi della lex specialis di gara «sono immediatamente impugnabili solo se contengano clausole chiaramente impeditive dell'ammissione dell'interessato alla selezione» altrimenti «sono impugnabili solo con gli atti che degli stessi fanno applicazione».

La prova di resistenza
Altro particolare di rilievo, e in questo caso il giudice ha ritenuto persuasive le argomentazioni della stazione appaltante, riveste la riflessione sui rapporti tra le pretese del ricorrente e la posizione in graduatoria finale.
Il ricorrente risultava collocato solamente al tredicesimo posto della graduatoria, circostanza che ha sostanziato un «mediocre piazzamento» e le censure proposte (la pretesa illegittimità della composizione della commissione di gara), quindi, esigevano la cosiddetta prova di resistenza ovvero la dimostrazione di qualche utile elemento tale da far almeno ipotizzare una ragionevole possibilità di ottenere l'utilità richiesta. Ovvero aspirare all'aggiudicazione.
Nel caso di specie, l'indirizzo giurisprudenziale da preferire è quello per cui «anche ove siano dedotti vizi di legittimità della nomina della Commissione, l'interesse strumentale alla riedizione della gara rimane subordinato al presupposto che vi siano, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l'utilità richiesta (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III-quater, 2 marzo 2018, n. 2399), dovendosi evitare la soddisfazione di aspettative meramente ipotetiche o del tutto eventuali». Nel caso trattato, evidentemente, queste ipotesi erano men che remote per la posizione "mediocre" del ricorrente, pertanto le istanze non hanno potuto essere accolte.

La sentenza del Tar Veneto n. 207/2019

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