Appalti

Sulle clausole sociali decide il giudice amministrativo e sono fonte di responsabilità contrattuale

di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

La Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, con la pronuncia n. 50/2019/PAR, pur dichiarando inammissibile, dal punto di vista oggettivo, la richiesta di parere avanzata da un Ente locale, come spesso avviene, ha formulato una interpretazione normativamente rilevante, pur se non giurisdizionalmente vincolante.
In particolare, premettendo di dover procedere all’approvazione del bando per l’appalto/concessione del servizio di tesoreria comunale e che, a tal fine, era “necessario individuare correttamente il costo del servizio da porre a base di gara”, l’Ente ha chiesto di conoscere il significato di quanto disposto dal comma 4 dell’art. 63 del Dlgs 112/1999, come richiamato dall’art. 52, comma 61, Legge n. 448/2001, al fine di procedere ad una corretta quantificazione dei costi relativi ai servizi di riscossione dei tributi e di tesoreria, gravando gli stessi sui bilanci comunali, e di sapere se il medesimo comma 4 fosse da ritenere superato dall’art. 50, Dlgs 50/2016.
La Corte ha, anzitutto, richiamato la nozione di contabilità pubblica, strumentale alla funzione consultiva, sostenendo che deve assumere un ambito limitato alle normative e ai relativi atti applicativi, che disciplinano in generale l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci ed i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione della spesa, l’indebitamento, la rendicontazione ed i relativi controlli.
Sotto il profilo oggettivo, ha precisato che la materia della contabilità pubblica non può investire qualsiasi attività degli Enti che abbia, comunque, riflessi di natura finanziaria-patrimoniale, in quanto ciò non solo rischierebbe di vanificare lo stesso limite imposto dal legislatore, ma comporterebbe l’estensione dell’attività consultiva delle Sezioni regionali a tutti i vari ambiti dell’azione amministrativa con l’ulteriore conseguenza che le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti diventerebbero organi di consulenza generale delle autonomie locali. In tal modo, la Corte verrebbe, in varia misura, inserita nei processi decisionali degli Enti, condizionando quell’attività amministrativa su cui è chiamata ad esercitare il controllo, che, per definizione, deve essere esterno e neutrale. La funzione di cui all’art. 7, comma 8, Legge 131/2003 non può, quindi, tradursi nella valutazione di una vicenda amministrativo-gestionale specifica e concreta, già perfezionatasi o “in itinere”, che sia stata (o sia suscettibile di essere) oggetto di contenzioso penale, civile o amministrativo, né attenere a questioni anche potenzialmente oggetto di indagini della procura regionale o di giudizio innanzi alla sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti.
É da escludere, inoltre, qualsiasi interferenza, ancorché potenziale, con le altre funzioni da parte della Corte contabile.
Nonostante l’inammissibilità della richiesta di parere la Corte, comunque, lo ha “evaso”.
In particolare, la norma da interpretare era l’art. 63, rubricato “Misure di riqualificazione e sostegno dell’occupazione”, del Dlgs 112/1999, dedicato al “Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337”, il quale prevede che il personale che, alla scadenza o cessazione del rapporto di concessione, risulta iscritto da almeno due anni al relativo fondo di previdenza, ha diritto ad essere mantenuto in servizio dal subentrante concessionario senza soluzione di continuità.
Di quest’ultima disposizione, il comma 61 dell’art. 52 della Legge n. 448/2001 (Legge Finanziaria 2002) ha, poi, stabilito l’applicabilità “anche in caso di trasferimento dei servizi di riscossione dei tributi e di tesoreria degli enti locali”.
L’art. 50, rubricato “Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi” del Dlgs 50/2016 (Codice dei contratti) ha, poi, previsto che per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti devono inserire, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali, volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’articolo 51, Dlgs 81/2015. I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto. Le cd. “clausole sociali” contenute nei bandi di gara, negli avvisi o negli inviti, attinenti a prescrizioni che hanno l’obiettivo di promuovere finalità di carattere sociale, sono disposizioni che impongono ad un datore di lavoro il rispetto di determinati standards di protezione sociale e del lavoro, come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge ed agevolazioni finanziarie. Si tratta, cioè, di regole intese a orientare il mercato a fini socialmente rilevanti, quali la tutela del diritto dei lavoratori e le garanzie delle condizioni di occupazione, così comportando limiti alla libertà di mercato ed alla concorrenza tra le imprese. È di tutta evidenza, quindi, che il corretto (o meno) inserimento di tali clausole nei bandi di gara approvati dagli Enti pubblici, rientra nella giurisprudenza del Giudice amministrativo, mentre l’inadempimento degli obblighi ad esse collegati, da parte dell’impresa affidataria dell’appalto o del servizio, è fonte di responsabilità contrattuale a suo carico.

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