Appalti

Dal Consiglio di Stato nuovo «no» all'accesso civico generalizzato sugli atti delle gare

di Stefano Usai

Per ritenere ammissibile l'accesso civico agli atti del procedimento d'appalto è necessario un intervento esplicito del legislatore non essendo sufficiente evidenziare un mancato coordinamento tra norme (tra il decreto trasparenza e il codice dei contratti). In questo senso, la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, n. 5503/2019.

Il caso
La quinta sezione è pervenuta, quindi, a soluzioni differenti rispetto alla terza sezione (sentenza n. 3780/2019) che ha ammesso l'accesso civico generalizzato anche nella materia (e quindi agli atti della fase pubblicistica e civilistica) degli appalti.
Si premette in sentenza che nell'ambito delle tre fattispecie di accesso (documentale in base alla legge 241/1990, accesso civico "semplice" e accesso civico generalizzato previsti nel decreto legislativo 33/2013) non è rinvenibile alcuna posizione di superiorità in quanto ciascuna fattispecie ha una specifica disciplina. In particolare, l'accesso civico generalizzato non può essere considerato come fattispecie di "chiusura" che subentra qualora le altre fattispecie non possano essere applicate.
Nei rapporti reciproci, si rileva, «ciascuno opera nel proprio ambito, sicché non vi è assorbimento dell'una fattispecie in un'altra; e nemmeno opera il principio dell'abrogazione tacita o implicita ad opera della disposizione successiva nel tempo (…) tale che l'un modello di accesso sostituisca l'altro, o gli altri, in attuazione di un preteso indirizzo onnicomprensivo che tende ad ampliare ovunque i casi di piena trasparenza dei rapporti tra pubbliche amministrazioni, società e individui».

Le eccezioni
L'aspetto che distingue la pronuncia tanto da giungere a soluzioni opposte (rispetto alla sentenza n. 3780/2019), è che nell'ambito del comma 3 dell'articolo 5-bis del decreto legislativo 33/2013 (in cui si prevedono i limiti all'accesso civico generalizzato) non opera una esclusione per materie ma, letteralmente, la norma individua in realtà dei casi – ovvero eccezioni assolute - in cui la trasparenza è costretta a recedere. Si tratta di casi la cui individuazione è espressamente rimessa – per volontà del legislatore - «ad altre disposizioni di legge, direttamente o indirettamente, richiamate dallo stesso comma 3 (sicché l'ampiezza dell'eccezione dipende dalla portata della normativa cui l'art. 5-bis, comma 3, rinvia)».
In specie, devono ritenersi sottratte «dall'accesso generalizzato: i casi di segreto di Stato ed i casi di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi elencati nell'art. 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (che, al suo interno, ricomprende intere materie), i casi in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti». In tutti questi casi, non deve operare alcun bilanciamento tra contrapposti interessi per verificare se l'accesso civico generalizzato debba o meno essere ammesso. Sono situazioni che in realtà trovano «altrove» una specifica disciplina e a questa occorre rifarsi. Più nel dettaglio, nel caso dell'accesso agli atti dell'appalto, è l'articolo 53 che contiene la specifica indicazione dei dati/elementi che, esclusivamente, possono legittimare l'ostensione. Nella sentenza si chiarisce che le eccezioni riguardano «tutte le ipotesi in cui vi sia una disciplina vigente che regoli specificamente il diritto di accesso, in riferimento a determinati ambiti o materie o situazioni, subordinandolo a "condizioni, modalità o limiti" peculiari», come nel caso degli appalti appunto.
Il diritto di accesso agli atti della gara, pertanto, risulta espressamente perimetrato «mediante il rinvio agli artt. 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, quindi, mediante la fissazione delle deroghe del comma 2 (che elenca ipotesi di mero differimento) e del comma 5 (che elenca diverse ipotesi di esclusione assoluta ed un'ipotesi di esclusione relativa – quest'ultima dovuta all'eccezione alla lettera "a" posta dal comma 6)».

Conclusioni
Si tratta di limiti che rispondono a scopi connaturati alla particolare tipologia di procedimento a evidenza pubblica, quale quello di preservarne la fluidità di svolgimento (tanto da sottrarre i documenti procedimentali, mediante il differimento, anche all'accesso che l'articolo 10 della legge n. 241 del 1990 riconosce in ogni momento e fase ai partecipanti) e di limitare la possibilità di collusioni o di intimazioni degli offerenti. Per giungere, infine, anche al divieto di divulgazione secondo l'articolo 53, comma 3.
Importanti anche le ulteriori considerazioni. Tra queste, l'affermazione secondo cui ammettere (sempre) l'accesso civico generalizzato in tema di appalti avrebbe per effetto quello di annullare le potenzialità (e i limiti) dell'articolo 53 del codice. In sostanza, ogni soggetto avrebbe comunque accesso agli atti attraverso un utilizzo distorto della fattispecie del Foia.
Ulteriore conseguenza è che le stesse stazioni appaltanti, se si affermasse la prevalenza dell'accesso civico generalizzato, subirebbero un notevole «incremento dei costi di gestione del procedimento di accesso» considerato che l'attuale «applicazione della normativa sull'accesso generalizzato, (…) si basa sul principio della gratuità (salvo il rimborso dei costi di riproduzione)».
Infine, si ribadisce che la materia degli appalti risulta ben presidiata – sotto il profilo dei controlli e degli obblighi di trasparenza – dalle funzioni dell'Anac e dalla previsioni (contenute nel decreto legislativo 33/2013) dell'obbligo di pubblicare, sostanzialmente, ogni atto/dato afferente i procedimenti di gara.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5503/2019

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