Appalti

Prescritto il reato colposo, il tecnico del Comune deve comunque risarcire il danno

di Alessandro Vitiello

Sebbene il reato di omicidio colposo del quale era stato accusato sia caduto in prescrizione, il responsabile dell'ufficio tecnico comunale può essere condannato a risarcire il danno economico conseguente. Così ha deciso la Corte di cassazione nella sentenza n. 38624 depositata giovedì scorso.

La vicenda nasce da un fatto di cronaca nera accaduto in una nota località balneare. A causa del malfunzionamento di un faretto installato nella pavimentazione di un molo turistico, probabilmente causato dalla scopertura dei cavi conduttori dell'energia elettrica, un bambino di 7 anni era morto folgorato. Finiva accusato di omicidio colposo il responsabile dell'ufficio tecnico del Comune, che aveva seguito l'installazione della linea di illuminazione di cui il «faretto killer» faceva parte. I genitori della giovane vittima si erano costituiti parte civile.

Il risultato delle indagini era chiaro: il bambino era morto in conseguenza delle scariche elettriche sprigionatesi dal corpo illuminante, sia perché mal installato non essendo stati resi stagni i fori di accesso dei cavi elettrici, sia perché gli stessi, non essendo protetti adeguatamente, erano stati rosicchiati dai ratti.

La discussione, quindi, si era incentrata sulle eventuali responsabilità dell'ufficio tecnico del Comune, il cui responsabile era stato il direttore dei lavori nell'ambito dei quali erano stati forniti e installati i faretti. Di più, egli stesso aveva fornito i faretti alla ditta esecutrice dei lavori e, sebbene non titolare di una nomina ufficiale, era considerato - perché di fatto ne aveva svolto il ruolo, responsabile della sicurezza.
Il fattore determinante, alla fine, tuttavia, era individuato dai giudici nella circostanza che il tecnico del Comune aveva certificato la qualità e l'esecuzione a regola d'arte di quei lavori al molo, cose parecchio opinabili. nonche della successiva mancata manutenzione e controllo.

La sentenza della Corte di cassazione n. 38624/2019

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