Appalti

L'ente «distratto» deve risarcire il legittimo affidamento

di Pietro Alessio Palumbo

La revoca del contributo pubblico è un atto dovuto per l'ente concedente, tenuto in ogni momento a porre rimedio alle conseguenze sfavorevoli per l'erario di un'indebita erogazione. E non occorre una diffusa motivazione dell'autotutela: è in gioco la spesa pubblica. Eppure laddove il soggetto pubblico, dopo aver ammesso a finanziamento un'iniziativa imprenditoriale, solo in sede di rendicontazione rappresenti che questa non rientrava fra quelle ammissibili, incorre in responsabilità per violazione di correttezza e buona fede. A ben vedere in questo caso è maturato nell'impresa il «ragionevole affidamento» nei contributi pubblici, tale da indurla ad avviare spese e investimenti nell'iniziativa imprenditoriale.
Con la sentenza n. 7246/2019, il Consiglio di Stato insegna che in questo caso l'ente pubblico è indubbiamente nel giusto, pur tuttavia colposamente «disattento». Deve quindi risarcire l'imprenditore privato, altrettanto giustamente convinto che la sua impresa economica sarebbe stata coperta da risorse pubbliche.

La vicenda
Una società aveva partecipato a un bando regionale per il finanziamento dei costi d'investimento delle imprese chiedendo un contributo per la costruzione di un fabbricato e l'acquisto di nuova attrezzatura. La società è stata quindi inserita nella graduatoria dei progetti ammessi a finanziamento. Se non che, dopo anni, la Regione ha restituito alla società buona parte delle fatture da questa presentate, facendo presente che il bando non contemplava contributi per edifici di nuova costruzione, bensì solo contributi per l'acquisizione di locali. La società ha fatto ricorso al TAR a giudizio del quale, avuto riguardo all'esigenza di salvaguardare la posizione del privato, la Regione avrebbe quantomeno dovuto dare conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale per ridurre il contributo assegnato. Il Tar non si è pronunciato sul risarcimento del danno.

La decisione del Consiglio di Stato
Nonostante la legittimità e la doverosità della revoca del contributo, connotati rispetto ai quali può dirsi che è sempre recessivo l'affidamento della società, in questi casi può configurarsi una responsabilità della pubblica amministrazione.
Responsabilità, si badi, non riconducibile al doveroso e legittimo esercizio del potere di autotutela, bensì al fatto che l'ente pubblico si è avveduto dell'inammissibilità della domanda di contributo solamente nella fase procedimentale successiva all'emanazione del provvedimento di ammissione a finanziamento. Dopo ben cinque anni, con inevitabile avvio dell'intrapresa privata della società.
La disattenzione che connota questo comportamento amministrativo sostanzia un colposo e per ciò stesso rimproverabile contrasto con i canoni di correttezza e buona fede sanciti dal codice civile, essendosi evidentemente ingenerato nella società, il comprensibile e prudente affidamento nella legittimità della delibera regionale, e quindi nella condizione di poter concretamente fruire del contributo di finanziamento nella misura ivi indicata.
La società si era quindi persuasa di poter portare avanti la propria iniziativa imprenditoriale. A fronte di questo affidamento non discolpa neppure la clausola del bando in ordine alla provvisorietà della liquidazione del contributo e alla circostanza che lo stesso potesse essere rideterminato o anche ridotto in fase di rendicontazione. A ben vedere ciò afferisce alla fase di verifica dell'esecuzione delle iniziative ammesse a contributo e non certo a quella dell'ammissibilità a monte delle domande. In altre parole la sussistenza della colpa dell'Amministrazione attiene non al carattere dovuto della successiva riduzione del contributo e alla relativa motivazione, ma alla complessiva condotta della vicenda da parte dell'ente. Condotta nel caso di specie «non scusabile».

La sentenza del Consiglio di Stato n. 7246/2019

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