Appalti

La vicinitas non è sufficiente per impugnare il titolo edilizio

di Solveig Cogliani

La vicinitas non costituisce un dato decisivo per fondare l’interesse ad impugnare, essendo necessario dimostrare che l’intervento contestato ha la capacità di propagarsi sino ad incidere negativamente sul fondo del ricorrente. È quanto afferma il Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 962/2020.

Il caso
Il Consiglio di Stato si pronuncia sull’appello proposto dai proprietari di fabbricati residenziali ubicati in prossimità di un’area di Padova interessata dalla demolizione di un immobile esistente e dalla sua sostituzione con un nuovo edificio, avverso la sentenza di primo grado che dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di interesse.
Gli istanti avevano denunziato la corretta valutazione da parte dell’Amministrazione del carico urbanistico e la violazione dell’articolo 9 del Dm n. 1444 del 1968, che avrebbe imposto, nel caso di una via pubblica che fronteggia gli edifici, u rispetto di distacchi maggiorati della larghezza della strada.
Il Consiglio di Stato, dopo peraltro aver esaminato anche l’eccezione di tardività del ricorso introduttivo, assorbita in primo grado e riproposta dal comune e dalla Società interessata all’intervento anche nel grado di appello, si è diffusamente soffermato sulle condizioni dell’azione dinanzi al Giudice amministrativo in relazione al concetto di vicinitas.
Il Giudice di appello ha, dunque, respinto la tesi di parte appellante in ordine alla sufficienza dell’interesse ad evitare un deterioramento del preesistete assetto edilizio della zona derivante dall’impatto della nuova costruzione, precisando che l’idea che la vicinitas, oltre ad identificare una posizione qualificata idonea a rappresentare la legittimazione ad impugnare il titolo edilizio, assorbirebbe anche l’interesse a ricorrere è stata superata dall’indirizzo secondo cui, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, deve essere concretamente indagato e accertato anche l’interesse ad agire.
Ne discende che per ricorrere avverso un permesso di costruire è necessario dimostrare che l’intervento edilizio sia tale da incidere in modo diretto sul godimento di un bene da parte del ricorrente.
Tale conclusione risulta ancora più avvalorata dal confronto con i principi affermati dalle altre Corti europee, nel senso della tutela dei principi di certezza giuridica, coerenza ed uniformità.

Le condizioni per l’azione nel processo amministrativo
Vale la pena richiamare, sia pur sinteticamente, con riguardo alle tematiche affrontate dalla sentenza in commento, i principi elaborati dalla giurisprudenza, sulle condizioni dell’azione.
L’Adunanza plenaria n. 4 del 2011 ha precisato che la legittimazione al ricorso (o titolo o possibilità giuridica dell’azione) è declinata nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo.
L’Adunanza plenaria n. 9/2014 ha ancora avuto modo di soffermarsi sulla nozione dell’interesse ad agire sancito dall’articolo 100 c.p.c., considerato applicabile al processo amministrativo, ora anche in virtù del rinvio esterno operato dall’articolo 39, co. 1, c.p.a.: esso «è scolpito nella sua tradizionale definizione di ‘bisogno di tutela giurisdizionale’, nel senso che il ricorso al Giudice deve presentarsi come indispensabile per porre rimedio allo stato di fatto lesivo; è dunque espressione di economia processuale, manifestando l’esigenza che il ricorso alla giustizia rappresenti extrema ratio; da qui i suoi caratteri essenziali costituiti dalla concretezza ed attualità del danno (anche in termini di probabilità), alla posizione soggettiva di cui si invoca tutela; esso resta logicamente escluso quando sia strumentale alla definizione di questioni correlate a situazioni future e incerte perché meramente ipotetiche».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©