Appalti

Ai Ppp non si applicano le regole delle concessioni di lavori

di Alberto Barbiero

I contratti di partenariato pubblico-privato costituiscono una fattispecie aperta, nella quale possono rientrare tutte le tipologie di rapporti nei quali il rischio operativo sia posto in capo all'operatore economico e vi siano le condizioni di equilibrio economico-finanziario, pur distinguendosi dalle concessioni.

Il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 1327/2020 ha chiarito la portata applicativa del comma 8 dell'articolo 180 del Dlgs 50/2016, nel quale si stabilisce che nella tipologia dei contratti di Ppp rientrano la finanza di progetto, la concessione di costruzione e gestione, la concessione di servizi, la locazione finanziaria di opere pubbliche, il contratto di disponibilità e qualunque altra procedura di realizzazione in partenariato di opere o servizi che presentino le caratteristiche specificate nella stessa disposizione.

I giudici amministrativi evidenziano che il partenariato pubblico-privato rappresenta una sorta di paradigma esteso, in grado di accogliere al proprio interno una o alcune delle fattispecie elencate a titolo esemplificativo nell'articolo 180, comma 8 del codice dei contratti pubblici, ponendo peraltro elementi distintivi dalle concessioni.

Nella sentenza si chiarisce infatti come in base alla definizione riportata nell'articolo 3, lettera eee), del Dlgs 50/2016, il profilo causale del partenariato pubblico-privato di tipo puramente contrattuale sia rinvenibile nella gestione in collaborazione dell'opera o nella fornitura del servizio, e nella connessa distribuzione dei rischi tra soggetto pubblico e privato (come sancito dall'articolo 180).

Il Consiglio di Stato precisa che non vi è quindi sovrapponibilità del Ppp con la concessione di costruzione e gestione, come dimostra anche la separata disciplina del codice dei contratti pubblici: conseguentemente non possono essere applicati ai contratti di partenariato pubblico-privato istituti tipizzati per le concessioni di lavori (come ad esempio l'articolo 28, comma 7, dello stesso codice, che tende a precludere l'affidamento dell'appalto o della concessione di lavori pubblici agli affidatari di incarichi di progettazione per progetti posti a base di gara).

Non è dunque sostenibile la qualificazione di un contratto di partenariato pubblico-privato che abbia a oggetto un complesso di prestazioni finalizzate al miglioramento energetico sulla base di un'aritmetica prevalenza di un'attività (lavori) rispetto a un'altra (servizi), perché così facendo si opererebbe un indebito snaturamento della causa del particolare contratto di efficientamento energetico.

Peraltro i giudici amministrativi hanno evidenziato che questo contratto ha una specifica disciplina di riferimento (definita dall'articolo 2, comma 2, lettera n), del Dlgs 102/2014), che lo inquadra come un accordo contrattuale tra il beneficiario o chi per esso esercita il potere negoziale e il fornitore di un misura di miglioramento dell'efficienza energetica, verificata e monitorata durante l'intera durata del contratto, dove gli investimenti (lavori, forniture o servizi) realizzati sono pagati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica stabilito contrattualmente o di altri criteri di prestazione energetica concordati, quali i risparmi finanziari.

Il contratto di efficientamento energetico (Epc), pur presentando requisiti propri della concessione di lavori e della concessione di servizi, evidenzia come tratto differenziale e specializzante quello per cui il corrispettivo è parametrato al risparmio energetico conseguito per effetto dell'intervento. Da ciò deriva il riferimento al partenariato come strumento di cooperazione tra pubblico e privato.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1327/2020

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