Appalti

Danno da ritardo, niente risarcimento se l'istanza non è completa

di Amedeo Di Filippo

In tema di risarcimento del danno da ritardo, i termini per la conclusione del procedimento non iniziano a decorrere, con conseguente inesistenza dell'inerzia provvedimentale, ogniqualvolta la documentazione allegata all'istanza del privato non corrisponda alle previsioni normative e necessiti di essere integrata. Lo ha affermato il Tar Lazio con la sentenza n. 4558/2020.

Il caso
Una società ha proposto ricorso per l'accertamento del diritto al risarcimento dei danni derivanti dell'ingiustificato ritardo con cui un Comune ha rilasciato il permesso di costruire per l'adeguamento degli impianti di scarico. Nell'istanza il ricorrente ha eccepito che il provvedimento finale sarebbe stato adottato a distanza di più di un anno rispetto alla data in cui la conferenza dei servizi aveva concluso i lavori. Secondo il ricorrente inoltre a decorrere da quel momento il Comune avrebbe disposto una serie di immotivati rinvii e irragionevoli richieste di integrazione documentale, oltre a una ingiustificata interruzione dei termini per la conclusione del procedimento, al solo scopo di preservarsi da eventuali responsabilità per i danni da ritardo.

Il ritardo
Il Tar Lazio ha dichiarato il ricorso palesemente infondato, non ravvisando nella condotta del Comune alcun colpevole ritardo a esso imputabile. I giudici hanno fondato l'analisi sulla individuazione del dies a quo del termine per la conclusione del procedimento, al fine di verificare quando l'ente sia stato messo nelle effettive condizioni di concludere l'istruttoria.
Ricostruendo la complessa vicenda, il Tar è giunto alla prima conclusione che il termine finale del procedimento non era di 90 ma di 150 giorni. E ha evidenziato, quindi, che il tempo trascorso è certo superiore ma per via del fatto che l'istanza è stata oggetto di modifiche da parte della stessa società interessata, con conseguente protrazione dei termini dell'istruttoria, che ha avuto bisogno di essere integrata da due permessi di costruire in sanatoria finalizzati a comprovare la legittimità urbanistico-edilizia di alcuni immobili.
L'analisi dell'iter del procedimento ha indotto i giudici a ritenere che il preteso ritardo nel rilascio dell'autorizzazione rispetto ai termini di conclusione dello stesso non sia ricollegabile ad un comportamento inerte, dilatorio, soprassessorio e dunque colposo del Comune, quanto piuttosto a un deficit di allegazione documentale imputabile alla stessa società ricorrente.

Il danno
Il Tar Lazio dunque ha consolidato l'orientamento secondo cui, se è vero nel sistema dell'articolo 2 della legge 241/1990 la fissazione di precisi termini di durata massima del procedimento, ancorché non perentori, assolve a finalità acceleratorie, è tuttavia altrettanto vero che i termini in questione non iniziano a decorrere, con conseguente inesistenza dell'inerzia provvedimentale, sanzionabile anche in via risarcitoria, tutte le volte in cui la documentazione allegata all'istanza non corrisponda alle previsioni normative, così costringendo la Pa a formulare pertinenti e necessarie richieste di integrazione documentale.
Diversamente opinando, si attribuirebbe la disponibilità della tempistica del procedimento all'arbitrio del soggetto direttamente interessato, che potrebbe aver interesse ad assecondare alcune istanze di integrazione documentale e non altre, con conseguente frustrazione delle ragioni insite nella norma allo stesso articolo 2, consistenti nell'esigenza di garantire la certezza dei tempi.

La sentenza del Tar Lazio n. 4558/2020

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