Fisco e contabilità

Da Torino a Lecce il «tutti contro tutti» fra enti locali e Stato

«Fare come Lecce». Potrebbero suonare così le parole d’ordine del Comune di Torino, impegnato a vedersi restituire 61 milioni di tagli di troppo contestati con successo davanti a Tar e Consiglio di Stato nella battaglia giudiziaria avviata a suo tempo dalla giunta Fassino e rilanciata in questi giorni dalla sindaca Chiara Appendino. A Lecce, infatti, i soldi sono arrivati con l’ultima legge di bilancio, in un comma che riconosce 8,52 milioni per quest’anno e 2,8 per il prossimo.
All’origine delle due vicende ci sono problemi analoghi, prodotti dai tagli inflitti ai Comuni per “compensare” il gettito ingigantito dell’Imu. Il vizio d’origine è nel «salva-Italia» scritto a fine 2011 dal governo Monti, che ha utilizzato un’imposta comunale (quella sulla casa) per puntellare i conti dello Stato. Per riuscire nell’impresa, il decreto ha gonfiato i valori fiscali degli immobili (per le case, per esempio, l’aumento è stato del 60%), ha alzato le aliquote di riferimento ma ha fatto in modo che gli incassi aggiuntivi finissero di fatto allo Stato, tagliando i fondi comunali di una cifra equivalente alle differenze fra il gettito standard prodotto dall’Ici e quello, molto più alto, realizzato con l’Imu.

Il calcolo dei tagli
La teoria è stata complessa ma ordinata, mentre la pratica si è rivelata più caotica. Per decidere quanto tagliare, si prese a riferimento l’Ici del 2010, cioè un’imposta già incassata dai Comuni, ma nonostante si trattasse di un dato “storico” i numeri furono cambiati sei volte in pochi mesi, un po’ per le incertezze statistiche e un po’ per l’esigenza di far quadrare i conti. Di qui i ricorsi dei Comuni, arrivati con successo fino al Consiglio di Stato.
Una pezza è stata messa dall’ultima manovra, che ha messo a disposizione un finanziamento da 29 milioni all’anno per dieci anni per compensare il debito ai Comuni riconosciuto dopo la sentenza con cui il consiglio di Stato ha dato ragione all’Anci. Ma accanto al ricorso principale dell’associazione dei Comuni ne sono fioriti altri, promossi da singoli enti, che ora chiedono di più. Con il risultato, come annunciato dalla sindaca di Torino, di promuovere nuove carte bollate.

Le battaglie legali
Il punto nodale risiede nel fatto che lunghi anni di interventi più o meno emergenziali hanno fatto impazzire la maionese della finanza locale, disegnando un quadro in cui i vari livelli di governo discutono tramite avvocati più che nelle sedi politiche.
L’ultimo frutto di questa tendenza è arrivato poco più di un mese fa, quando un gruppo di sindaci veneti e un Comune della Calabria sono riusciti a far dichiarare illegittimo dal Tar Lazio il decreto di Palazzo Chigi che nel 2015 ha distribuito 4,8 miliardi di fondi comunali. La questione, su cui il governo ricorre al Consiglio di Stato, è in questo caso ancora più complicata, perché in discussione non c’è la somma totale delle risorse ma la loro distribuzione: dare più soldi ai Comuni penalizzati dai criteri di calcolo imporrebbe di togliere risorse agli altri. Anche per questo le battaglie legali dello Stato contro se stesso finiscono spesso nel nulla, come accaduto per l’illegittimità sui fondi comunali 2014 (dichiarata dal Consiglio di Stato) o quella sulla spending 2012 (bocciata dalla Corte costituzionale). Nel frattempo, in queste settimane le Province stanno facendo esposti cautelativi ai Prefetti per protestare contro i loro tagli, e nel tutti contro tutti non sono mancate (per esempio in Piemonte) le Province che hanno fatto causa con successo contro le loro Regioni, sempre per questioni di soldi. Ma oltre alla moltiplicazione dei ricorsi, deve far riflettere il fatto che quasi sempre si concludono con la vittoria di chi li ha promossi: segno di norme scritte troppo spesso con il baco, che prima o poi presenta il conto.

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