Fisco e contabilità

Nella rete altre 310mila Pmi (e i professionisti)

Saranno 310mila imprese, soprattutto piccole e piccolissime, a dover garantire un miliardo abbondante di Iva in più quest’anno e 1,5 annui dal 2018, con l’allargamento dello split payment previsto dalla manovrina. Alla platea si aggiungono poi i professionisti, finora esclusi anche perché già sono soggetti alla ritenuta alla fonte sui loro compensi, ma da loro l’Erario si aspetta non più di 35 milioni quest’anno e 70 milioni all’anno dal 2018: una cifra non enorme, destinata ad alimentare gli argomenti di chi in Parlamento proporrà sicuramente di tornare a escluderli dallo split.
Nei numeri della relazione tecnica che accompagna il decreto con la manovrina, da oggi all’esame della Camera, si disegna una maxi-operazione su Iva e imposte dirette che trasforma imprese e professionisti in prestatori di liquidità alle casse pubbliche. Solo dallo split, cifre ufficiali alla mano, il prestito vale 3,8 miliardi all’anno, ma al conto si aggiungono gli effetti della stretta alle compensazioni che oltre all’Iva coinvolge Irap, Irpef e addizionali.

Quattro estensioni
Sullo split payment il Dl 50/2017 prevede quattro estensioni della «scissione contabile», il meccanismo che già oggi impone ai fornitori della Pa di incassare fatture senza Iva perché questa viene versata direttamente all’Erario. Dal 1° luglio lo stesso sistema si applicherà ai fornitori delle imprese controllate in via diretta o indiretta dallo Stato, a quelle degli enti locali e alle società quotate nel Ftse Mib. Oltre alle aziende fornitrici, e qui c’è il quarto ampliamento, il meccanismo coinvolgerà le «prestazioni di lavoro autonomo».

Il recupero strutturale
Ognuna di queste mosse è accompagnata da numeri diversi, ma tutte partono dallo stesso presupposto. Secondo gli indici di «fedeltà fiscale» elaborati dal Fisco sulla base dello spesometro, risulterebbe che le società pubbliche hanno una propensione all’evasione Iva molto inferiore rispetto a quella dei loro fornitori, e anche le private quotate si mostrerebbero più attente ai versamenti rispetto alle imprese con cui hanno rapporti commerciali. Di conseguenza, far gestire l’Iva a società pubbliche e grandi aziende dovrebbe ridurre l’evasione. Il recupero strutturale (70 milioni all’anno dai professionisti, 829 dai fornitori delle società statali, 119 da quelli delle aziende locali e 517 da quelli delle quotate; nel 2017 i valori si dimezzano perché lo split è applicato per sei mesi) sono però solo una quota dell’Iva “mossa” dal meccanismo. La nuova platea, spiega la relazione tecnica, girerà all’Erario 5,3 miliardi all’anno: 1,5, cioè poco meno del 30%, è evasione recuperabile, mentre i 3,8 miliardi che restano sono appunto il prestito che dovrà tornare ai contribuenti come rimborsi e compensazioni. Da qui l’importanza della garanzia sul fatto che rimborsi e compensazioni procedano con la stessa “efficienza” delle misure anti-evasione, garanzia chiesta anche dalla commissione Ue per dare il via libera definitivo al nuovo split.
Prospettiva analoga è quella offerta dalle nuove regole sulle compensazioni, che abbassano da 15mila a 5mila euro l’obbligo del visto di conformità e impongono anche per le imposte dirette di attendere la dichiarazione prima di poter compensare i propri crediti fiscali. Da qui l’Erario si aspetta quasi un miliardo nei mesi che rimangono del 2017, e 1,93 miliardi all’anno dal 2018.
Le entrate del maxi-decreto permettono una prima sterilizzazione parziale delle clausole di salvaguardia fiscali per i prossimi anni. Nel biennio 2018-2019 i potenziali aumenti di Iva e accise vengono disinnescati complessivamente per 8,2 miliardi: 3,82 miliardi nel 2018 sui 19,57 necessari per lo stop totale e 4,36 miliardi nel 2019 sui 23,25 lasciati in eredità dall'ultima legge di Bilancio. A questo punto, pertanto, per azzerare in toto le clausole il Governo dovrà individuare misure alternative per 15,74 miliardi il prossimo anno e 18,88 miliardi nel 2019.

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