Fisco e contabilità

Boccata d’ossigeno grazie a tassi e spread

Se per la spesa primaria, quella per intenderci che assorbe senza contare gli investimenti qualcosa come 705 miliardi l’anno, i risultati in termini di contenimento e di razionalizzazione non sono stati al momento pari alle attese, per la fondamentale componente della spesa per interessi è andata (e per fortuna) diversamente. Sull’onda del calo dei tassi e dello spread favorito dalla politica monetaria espansiva della Bce, ma anche grazie al risanamento forzato degli anni della crisi, i conti pubblici hanno beneficiato di un risparmio pari a ben 17,1 miliardi nel periodo 2012-2016.

Le stime per il 2017 parlano di un avvicinamento a quota 20 miliardi. Nel 2016 siamo scesi a 66,2 miliardi di spesa, pari al 4% in rapporto al Pil. Negli anni precedenti si oscillava tra i 70 e gli 80 miliardi. Grazie soprattutto a questa riduzione del costo del debito, è stato possibile ricondurre il deficit ampiamente in zona sicurezza al di sotto del tetto massimo del 3% del Pil. Già, ma cosa accadrà quando Francoforte chiuderà il rubinetto del quantitative easing, vale a dire del programma straordinario di acquisto dei titoli in atto dal 2016 per 80 miliardi al mese, poi ridotti a 60 miliardi? Prima o dopo (presumibilmente nel primo semestre del 2018) si tornerà alla normalità, e dunque attenzione ai possibili scenari che si potranno determinare.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, nel suo Rapporto sulla Programmazione di Bilancio 2017, parla chiaramente di «elementi di incertezza» legati proprio all’avvio di un processo di “normalizzazione” della politica monetaria già nel 2018: «La riduzione del programma di acquisto di titoli sovrani da parte della Bce potrebbe essere accompagnata da aumenti non trascurabili del costo del servizio del debito, maggiori di quanto già scontato nello scenario programmatico del Def». Incognita che si connette ai dubbi relativi agli incassi previsti dal piano di privatizzazioni, ridotto dal Governo da 0,5 a 0,3 punti, e da un andamento del Pil nominale (comprensivo dell’inflazione) non in linea con le stime contenute nei documenti programmatici inviati a Bruxelles. Del resto è lo stesso Governo nel Def a circoscrivere a 1 miliardo i risparmi attesi dalla nuova fase della “spending review”. Potrà soccorrere una diversa quantificazione del Pil potenziale, ma occorrerà comunque mettere in campo una manovra per il 2018 di almeno 17 miliardi (per disattivare le clausole di salvaguardia e ridurre dello 0,1% il deficit) cui andrebbero aggiunti tutti gli interventi veri e propri di politica economica.

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