Fisco e contabilità

Spending, l’erba dei vicini non è più verde

Caro Direttore, nell'ampio spazio dedicato alla revisione della spesa sulle colonne del Sole 24 Ore di lunedì 8 maggio avete sostenuto che «la revisione della spesa non ha frenato la spesa pubblica». L'esperienza italiana viene contrapposta a quella di altri Paesi, che si lascia intendere abbiano fatto meglio. Si dà molto spazio allo spesso evocato caso britannico: «Tra il 2010 e il 2015 il cancelliere George Osborne ha imposto drastici tagli alla spesa pubblica».

Mi immagino che un normale lettore deduca che la spesa pubblica britannica, tra il 2010 e il 2015, sia scesa di molto. Invece no. I dati, disponibili a chiunque avesse la curiosità di consultarli, dicono che la spesa pubblica corrente di Londra in questi cinque anni è aumentata di 50 miliardi di sterline (corrispondente al +7,3%). Limitando la misurazione alla sola macchina dei servizi pubblici, cioè al netto degli interessi sul debito e dei trasferimenti sociali (pensioni ed altro), la spesa pubblica britannica è cresciuta in questo periodo di 17 miliardi di sterline (+4%).

Il risultato italiano
La poco concludente Italia, che «non riesce a frenare la spesa pubblica», ha aumentato la spesa corrente nello stesso periodo del 2,3% (considerando gli 80 euro come una riduzione delle tasse), ovvero meno di un terzo rispetto al Regno Unito. La spesa per la macchina dei servizi pubblici è addirittura scesa del 1,6 per cento. A questo punto il nostro lettore potrebbe concludere che anche i britannici sono “tutto fumo e niente arrosto”, oppure potrebbe sospettare che tagliare la spesa pubblica nominale non sia poi cosi semplice. Basterebbe consultare i dati di altri Paesi, sempre disponibili a chiunque avesse la curiosità di approfondire, per avere una risposta chiara.
Focalizziamo il confronto sul periodo 2013-2016 per concentrare l’attenzione su quanto fatto dai governi Renzi e Gentiloni: da noi la spesa corrente complessiva è scesa dello 0,4%, mentre la spesa per la macchina pubblica dei servizi è rimasta costante. La Spagna, pure alle prese con una crescita vertiginosa del debito e deficit altissimi, ha aumentato la spesa complessiva del 2,5% e la spesa per la macchina pubblica del 6,2 per cento. La Germania, certamente attenta all’efficienza, ha aumentato la spesa complessiva del 10% e la spesa della macchina pubblica del 12%. Tranne la Grecia, che ha ricevuto ingenti aiuti economici, nessun Paese dell’area euro è riuscito a fare meglio di noi. Anche fuori dalla zona euro difficilmente qualcuno ci batte. Visto che abbiamo pure degli aficionado di alcuni presunti alfieri dell’efficienza, una rapida verifica ci conferma che la spesa pubblica corrente canadese è aumentata, tra il 2013 e il 2016, del 7,4%: quella australiana di oltre il 9%, e quella svedese di oltre l’11%.

Le difficoltà
Ma perché è cosi difficile ridurre l’entità nominale della spesa corrente? I motivi sono due. Il primo è che oltre il 70% della spesa corrente è composto da due voci difficili da comprimere nel breve termine: la spesa sociale, che cresce per l’effetto dell’invecchiamento della popolazione, e la spesa per gli stipendi dei dipendenti pubblici che nessun governo, tranne in situazioni di gravissime difficoltà finanziaria, è disposto a licenziare. Questo è vero anche in economie dove nel settore privato non c’è alcun vincolo di licenziamento, come per esempio negli Stati Uniti, un Paese che ha peraltro più dipendenti pubblici pro-capite che in Italia, pur avendo gran parte della sanità fuori dal perimetro pubblico. Il costo degli stipendi pubblici è quindi gestibile nel breve termine solo con un blocco del turnover, come peraltro noi stiamo facendo da tempo. Questa però è una misura non prorogabile indefinitamente e che porta comunque risparmi in modo graduale.
La seconda difficoltà sta nel fatto che la stragrande maggioranza dei costi della pubblica amministrazione, per noi circa il 90%, è legato a servizi ritenuti essenziali e costitutivi del concetto dello stato moderno: pensioni, assistenza sociale, istruzione, sanità, difesa, sicurezza e servizi comunali. Mentre un’azienda può decidere di dismettere qualsiasi ramo di attività, uno Stato degno del nome moderno e sociale non può non garantire un’istruzione di qualità ai suoi cittadini.

La revisione della spesa nella pubblica amministrazione
Con questi vincoli il compito della revisione della spesa nella pubblica amministrazione è più complesso rispetto a quella fatta per un’impresa, ma è fondamentale per raggiungere tre obiettivi:
• ottenere predeterminati risultati di finanza pubblica, in particolare la riduzione del deficit e del rapporto debito/Pil;

• ridurre le tasse;

• garantire, modernizzare e ampliare la qualità e la quantità dei servizi pubblici essenziali.

Nel 2017 il governo ha eliminato e/o ridotto capitoli spesa per un ammontare complessivo di 30,327 milioni di euro. Al netto del costo del personale, delle prestazioni sociali e degli interessi, la riduzione rappresenta il 18,7% della spesa corrente.
Questa revisione della spesa ha contribuito per circa due terzi delle risorse messe a disposizione per il conseguimento di tre importanti obiettivi:
• il risanamento dei conti pubblici, con la riduzione del deficit passata dal 3% del Pil nel 2013 al 2,1% nel 2017;

• la riduzione della pressione fiscale, passata dal 43,6% nel 2013 al 42,3% nel 2016 (considerando gli 80 euro come una riduzione delle tasse);

• il finanziamento dei servizi pubblici essenziali, che rappresentano la maggioranza delle risorse re-impiegate nella spesa pubblica: le prestazioni previdenziali e assistenziali (12,7 miliardi), la sanità (3,7 miliardi), la scuola (3 miliardi) e la sicurezza (1 miliardo).

Questi risultati sono il frutto di interventi strutturali ben più ampi e profondi di quelli messi in campo per esempio nella spending review britannica confinata alla spesa centrale dei ministeri. Nella nostra sono infatti compresi anche i Comuni e la sanità che rappresentano oltre la metà della spesa della macchina dei servizi pubblici. Il prossimo 20 giugno presenteremo la prima relazione del commissario per la Revisione della spesa, e avremo modo di raccontare e di approfondire un lavoro svolto assieme a numerose amministrazioni pubbliche con la partecipazione attiva di oltre mille persone che hanno dato un contributo decisivo di impegno e di professionalità per la riuscita delle diverse iniziative.
I nostri risultati più incisivi di quelli di altri Paesi non sono un motivo di rallegrarsi. Un Paese con un alto debito pubblico e un più contenuto tasso di crescita non ha alternative. C’è ancora molto da fare, ma sulla revisione della spesa l’erba dei vicini, e anche quella dei meno vicini, non è più verde.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©