Fisco e contabilità

Spesa storica dura a morire

Il significato della sentenza con cui la Corte costituzionale ha cancellato le regole sui costi standard degli atenei va assai oltre i confini dell’accademia. L’università è infatti il primo settore pubblico ad aver adottato i nuovi sistemi di finanziamento che, in teoria, avrebbero dovuto cancellare da tutta la pubblica amministrazione i vizi della «spesa storica», che per natura accumula anno su anno sprechi e difetti nella distribuzione dei fondi pubblici.

La sentenza, che contesta il fatto di aver assegnato ai decreti scelte politiche da attuare con legge e non entra nel merito degli standard, non mette la parola «fine» sul processo. Ma dimostra, se mai ce ne fosse ancora bisogno, quanto sia lunga e contorta la strada che dalle promesse da convegno dovrebbe portare alle leggi e alla loro attuazione.

Nei Comuni, l’altra area della Pa che ha cominciato davvero ad abbandonare la spesa storica, la resistenza passiva nasce dai diretti interessati; migliaia di enti continuano a non compilare le richieste di dati che servono a calcolare i loro «fabbisogni», versione municipale dei costi standard, e le trattative per attenuare gli effetti delle novità sono ogni anno più serrate. Le Regioni, invece, sono quelle che da più tempo rivendicano di volere gli standard, fin dai tempi d’oro del federalismo arrembante di dieci anni fa; ma le amministrazioni di riferimento sono state individuate con criteri più politici che matematici.

A questa tipica complessità italiana l’università aggiunge un proprio tratto specifico: la vocazione al dibattito senza fine. Dalla valutazione ai costi standard, tutto viene costantemente rimesso in discussione, in una precarità perenne che i difetti di merito e di metodo delle varie riforme contribuiscono ad alimentare.

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