Fisco e contabilità

Manovra 2018, Padoan chiede uno sconto di 8,5 miliardi alla Ue

La prossima manovra italiana taglierà il deficit strutturale di poco più di 5 miliardi, invece dei 13,5 messi in calendario dall’ultimo Def, con l’obiettivo di non soffocare i segnali di ripresa dell’economia confermati giusto ieri dall’Istat e di rendere un po’ meno in salita la strada che porta al nuovo blocco degli aumenti Iva. Dopo la manovra correttiva che attende ora l’ok del Senato, le clausole di salvaguardia 2018 costano ancora 15,4 miliardi, per cui al netto delle altre variabili l’aggiustamento più leggero ridurrebbe la sfida poco sotto ai 7 miliardi.

La nuova rotta dei conti pubblici
A indicare la nuova rotta dei conti pubblici, mentre la politica fatica ancora a individuare la strada verso la manovra, è il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan in una lettera indirizzata al vicepresidente della commissione Ue, Valdis Dombrovskis, e al commissario agli Affari economici Pierre Moscovici. La commissione non commenta ufficialmente la lettera di Padoan, che rappresenta la tappa successiva alla politica della “mano leggera” con cui dieci giorni fa Bruxelles ha accolto la correzione da due decimali di Pil scritta nel decreto di primavera promettendo vigilanza sul prossimo anno ma senza citare espressamente il vincolo previsto dal Patto di stabilità che imporrebbe all’Italia nel 2018 una correzione da almeno 6 decimali di Pil (10 miliardi abbondanti). Ma a confermare l’attenzione “benevola” della Ue è intervenuto direttamente Moscovici, spiegando che la valutazione sarà guidata «dalla nostra di volontà di non fare nulla che possa costituire un ostacolo alla crescita». Una fitta trama di contatti, insomma, ha ovviamente preceduto l’invio della lettera, con gli indirizzi che per essere tradotti in pratica avranno bisogno anche di una nuova autorizzazione parlamentare per alzare le previsioni di deficit come prevedono le regole del pareggio di bilancio. Ma anche una correzione da soli tre decimali, assicura Padoan, permetterà di ridurre il deficit nominale e abbassare il rapporto debito/Pil dopo aver raggiunto la sua «sostanziale stabilizzazione».

E proprio su questo piano si giocherà la coerenza fra la politica economica adombrata nella lettera e l’indicazione lanciata mercoledì dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco sull’impegno di lungo termine a ridurre il debito a colpi di avanzo primario. Tutto, in pratica, dipenderà da come la spesa “liberata” impatterà davvero sulla crescita permettendo di accumulare avanzo primario in chiave taglia-debito.

Le prospettive dell’economia dell’Unione a 27
Nell’intensa giornata belga di Padoan, caratterizzata anche dall’intesa di principio sulla ricapitalizzazione di Mps, le ragioni alla base della nuova richiesta di “sconto” sono state al centro anche del dibattito al Brussels Economic Forum sulle prospettive dell’economia dell’Unione a 27. «L’Italia ha accelerato le riforme» nonostante «i soldi facili forniti dalla Bce all’Eurozona», ha rivendicato il ministro, perché «le riforme si fondano sulla volontà politica» sapendo che «i risultati non sono immediati». In quest’ottica, quindi, un po’ più di spazio fiscale rispetto al previsto servirebbe appunto a non fermare i segnali di ripresa dopo «la più severa recessione in tempo di pace dall’Unità d’Italia». E con una disoccupazione all’11,1% e un tasso di investimenti pubblici ancora zoppicante, «un consolidamento fiscale più severo metterebbe a rischio la ripresa e la coesione sociale». In gioco, insomma, c’è la condizione ancora febbricitante dell’economia italiana, che non è riconosciuta dai calcoli europei sulla distanza fra Pil potenziale e reale ma è confermata, scrive il ministro, dalla «bassa crescita nominale nonostante la politica monetaria eccezionale», segni del fatto che non è stata raggiunta «una crescita in grado di sostenersi da sola».

Per fondare sui numeri queste indicazioni, Padoan ha allegato alla missiva europea una serie di grafici con l’obiettivo di misurare lo «sforzo italiano» compiuto fin qui. Tra gli indicatori, Padoan punta sul deficit/Pil, che nella media degli anni bui fra 2009 e 2016 è stato in Italia del 3,3%, contro il 4,8% della Francia e il 7,9% della Spagna. Fra i grandi Paesi, solo la Germania (0,9% di deficit medio) distanzia il gruppone, mentre dal punto di vista del saldo primario Italia e Germania pareggiano (e primeggiano) con un avanzo dell’1,2% del Pil. Negli stessi anni la virtuosa Olanda ha registrato un disavanzo primario medio dell’1,6%, la Francia del 2,6% e la Spagna del 5,2%.

Certo, Grecia a parte il primato italiano è nel debito, che però negli anni della crisi è cresciuto del 30,4%, poco più che in Francia (28,4%) ma meno che in Spagna (60,3%): nella lontanissima Germania, invece, l’aumento è stato solo del 3,3 per cento.

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