Fisco e contabilità

Missione «quasi» impossibile sulla banca dati delle pubbliche amministrazioni

di Elena Masini e Anna Maria Vinciguerra

Da pochi giorni (30 maggio 2017) è trascorso il termine “ufficiale” entro il quale Regioni, Province e Comuni dovevano inviare alla Banca Dati della Pubblica Amministrazione – Bdap - i dati dei propri rendiconti della gestione relativi all'esercizio 2016. Ciononostante le attività sono ancora in pieno svolgimento, non solo da parte dei responsabili dei servizi finanziari ma della stessa Banca Dati della Pubblica Amministrazione, che ha ritenuto necessario modificare le tassonomie per la trasmissione dei dati, gettando nel caos gli enti e le stesse software house. Nel frattempo vengono recapitati gli esiti degli invii effettuati, nei quali si riscontrano diverse problematiche rispetto alle quali è spesso difficile comprendere come comportarsi. Il primo scoglio è rappresentato dalla difficoltà di “decifrare” gli errori riscontrati per capire come intervenire. Una volta superato questo primo passaggio non meno ardua risulta l'attivazione della procedura necessaria per correggere gli errori, sia sotto il profilo amministrativo sia informatico. Il tutto mentre sono già operative le sanzioni per il mancato assolvimento degli obblighi, che operano fino a quando non interviene la protocollazione dei files inerenti gli schemi di bilancio e i dati contabili analitici (Sdb e Dca).

I dati della contabilità economico-patrimoniale
Se questo è lo scenario attuale, quello futuro non si presenta certo più roseo. Entro il 30 agosto infatti tutti gli enti sono chiamati a inviare alla Banca Dati della Pubblica Amministrazione i dati relativi alla contabilità economico-patrimoniale, grazie alla proroga inserita nella legge di conversione del Dl 50/2017, in corso di approvazione (si veda in proposito il Quotidiano degli emnti locali e della Pa del 12 giugno 2017). Oltre al conto economico, allo stato patrimoniale e ai costi per missione, gli enti sono chiamati a inviare, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Dm 12 maggio 2016, nell'ambito dei dati contabili analitici:
• per i componenti positivi del conto economico e per ciascuna voce del piano economico di sesto livello, il totale dare e il totale avere;
• per i componenti negativi del conto economico, distintamente per programma, e per ciascuna voce del piano economico di sesto livello, il totale dare e il totale avere;
• per ciascuna voce del piano patrimoniale, il totale dare e il totale avere.
In sostanza il decreto prevede che i costi che confluiscono nel conto economico vengano «scompattati» per singolo programma di spesa, imponendo un grado di analisi molto più elevato rispetto alla suddivisione dei costi per missione contenuta nell'allegato h) al rendiconto. Ricordiamo infatti che la classificazione funzionale introdotta dall'armonizzazione contabile ha valorizzato questa chiave di lettura della spesa delle pubbliche amministrazioni, introducendo 23 missioni e ben 98 programmi di spesa differenti a fronte dei 52 servizi codificati in precedenza.

Il problema dei costi non registrati in contabilità finanziaria
Tralasciando le non secondarie valutazioni sulla gerarchia delle fonti tra il disposto dell'articolo 2 del decreto legislativo 23 giugno 2011 n. 118 (che non prevede nulla del genere) e l'articolo 3 del Dm 12 maggio 2016, ci si chiede come sia possibile rispettare tale prescrizione non supportata da alcuna fonte normativa primaria, per tutte quelle tipologie di costo che non discendono direttamente da registrazioni delle spese in contabilità finanziaria. A mero titolo esemplificativo possiamo citare le insussistenze dell'attivo (derivanti dall'eliminazione dei residui attivi ovvero da minor valore delle partecipazioni), o ancora gli ammortamenti e le svalutazioni. Per tutti questi casi l'abbinamento del costo al singolo programma di spesa presuppone, se non si vuole giungere a un'arbitraria attribuzione delle codifiche, l'adozione di una contabilità analitica che oltre a non essere prevista espressamente dalla normativa principale, finirebbe per risultare oltremodo onerosa per gli enti. Non va dimenticata infatti la situazione degli enti territoriali, fortemente penalizzati dal blocco delle assunzioni, in conseguenza della quale, negli ultimi anni, si è generato un progressivo innalzamento dell'età media del personale dipendente oltre a una, ormai trasversale, carenza di personale che rende difficoltoso adeguarsi a tutte le novità previste dalle continue riforme predisposte dal legislatore. Tutto ciò, soprattutto, senza che gli attori coinvolti (operatori e soprattutto amministratori) siano riusciti a cogliere i benefici che tutti questi nuovi adempimenti dovrebbero portare al sistema paese.

Le criticità del sistema
Se da un lato è assolutamente pacifico che il monitoraggio costante dei conti della Pa sia da considerarsi come un elemento fondamentale e strategico, dall'altro il sistema utilizzato per raggiungere questo obiettivo non ha ancora raggiunto i necessari livelli di adeguatezza ed efficienza: mancano infatti strumenti di verifica dei dati predisposti e, diversamente da come accade con gli altri adempimenti, non è previsto un sistema di verifica preventiva dei dati. Nemmeno sono noti i controlli (formali, di quadratura e di coerenza) attivati dalla Banca Dati della Pubblica Amministrazione e la loro gradualità, così che gli enti possano adeguare i documenti ancora prima della loro approvazione. I dati infatti vengono oggi inviati senza un riscontro immediato sulla loro bontà e solo dopo diversi giorni si riceve un esito dal quale è difficile comprendere l'anomalia riscontrata. Di certo sarebbe stato più produttivo rendere il sistema della Banca Dati della Pubblica Amministrazione user-friendly in modo tale ottimizzare l'impiego delle già ridotte risorse temporali, economiche ed umane della pubblica amministrazione, oltre che prevedere un più lungo periodo transitorio per testare il sistema, senza l'applicazione di sanzioni che non fanno altro che aggravare le difficoltà dei servizi finanziari.

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