Fisco e contabilità

Sulla Tari «gonfiata» la via dell’autotutela

Nell’interrogazione n. 5-10764 (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 19 ottobre) il ministero dell’Economia chiarisce la corretta modalità di applicazione della Tari per le pertinenze delle abitazioni.
Si tratta di precisazioni importanti, perché effettivamente si registrano modalità applicative eterogenee, che comportano però sempre richieste di pagamento superiori al dovuto.
Il Comune, dal canto suo, potrebbe correre ai ripari già da quest’anno modificando in autotutela il proprio regolamento e le proprie tariffe.

Il calcolo delle tariffe
Nella determinazione delle tariffe, il Comune deve tener conto dei criteri determinati con il regolamento scritto nel Dpr 158/1999, il quale articola la tariffa in una componente fissa (da moltiplicarsi per i metri quadrati occupati) e in una componente variabile (collegata al numero degli occupanti). La parte variabile della tariffa dipende dai quantitativi dei rifiuti prodotti dalla singola utenza, presuntivamente collegati al numero dei componenti. In altri termini, la quota variabile non dipende dai metri quadrati occupati. Pertanto, se una famiglia di tre persone occupa 100 o 300 metri quadrati, la quota variabile è sempre la stessa, e cambierà la sola quota fissa.

L’indicazione del ministero
Correttamente il ministero dell’Economia ha quindi ritenuto che «la parte variabile va considerata una sola volta e, di conseguenza, un diverso modus operandi da parte dei Comuni non trova alcun supporto normativo». In altri termini, in presenza di un’abitazione e di pertinenze autonomamente accatastate, la quota variabile è unica e la quota fissa sarà applicata alla sommatoria dei metri quadrati occupati, considerando anche le pertinenze.
Alcuni Comuni, invece, considerano ogni unità immobiliare come una singola utenza e quindi applicano la quota variabile autonomamente per ogni pertinenza, pretendendo di conseguenza molto di più del dovuto.
Per le stesse ragioni vanno considerate illegittime anche le altre variegate modalità di calcolo utilizzate da diversi Comuni, come quella di considerare le pertinenze come autonome utenze fittiziamente occupate da un numero di occupanti predeterminato dal regolamento comunale.

Le pertinenze
Ancor più illegittime sono poi le previsioni regolamentari che tassano le pertinenze sulla base delle tariffe previste per le utenze non domestiche, di norma facendo riferimento alla categoria delle «autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta». L’illegittimità qui è doppia, perché si usano per le utenze domestiche le tariffe previste per le utenze non domestiche, che sono caratterizzate da modalità di calcolo diverse, e si addebita, anche in questo caso, una doppia parte variabile della tariffa, anche se non ancorata al numero degli occupanti.
Insomma, di confusione sembra essercene abbastanza, ma il contribuente farebbe bene a rispolverare l’ultimo avviso bonario ricevuto dal Comune (o dal gestore), con la speranza che almeno questo sia chiaro nell’indicare la modalità di calcolo seguita dall’ente. Se la modalità di calcolo non è legittima, si ha sempre la possibilità di chiedere il rimborso entro cinque anni dalla data del versamento (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 20 ottobre). Nel caso di diniego di rimborso, sia espresso sia tacito, il contribuente può impugnare il diniego davanti alla commissione tributaria, chiedendo al giudice la disapplicazione delle delibere comunali in quanto illegittime. Si tratta, però, di disapplicazione che vale solo nei confronti di quel contribuente.

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