Fisco e contabilità

Il «debito ombra» che presenta il conto

di Massimo Bordignon

I dati raccolti oggi dal Quotidiano degli enti locali e della Pa mostrano come sia necessario uno sforzo per ripensare e razionalizzare la finanza locale. Gli interventi emergenziali degli anni della crisi hanno lasciato strascichi rilevanti che, se non recuperati in tempo, rischiano di portare al collasso realtà urbane importanti. Intanto, nonostante i precetti dell'attuale Titolo V della Costituzione, di recente riaffermati dai risultati di un referendum nazionale, i Comuni italiani mancano di spazi di manovra sufficienti sui propri tributi. Il balletto Ici-Imu-Tasi alla fine si è risolto con l'abolizione dell'imposizione comunale su un pezzo importante del patrimonio immobiliare urbano, le abitazioni di prima residenza, lasciando dunque i Comuni privi di una base imponibile di rilievo. Non contento, il legislatore nazionale ha anche ben pensato di bloccare l'autonomia comunale sui tributi residui, un intervento che introdotto con la legge di bilancio dell'anno scorso si prevede venga esteso anche al prossimo. Sicuramente questo farà contenti i politici nazionali che in campagna elettorale potranno vantarsi di aver ridotto le tasse.
Ma questo anche significa che un Comune che si trovi in difficoltà finanziaria ha scarsi spazi di azione per poter recuperare risorse alternative attraverso la leva tributaria, lasciando caso mai ai propri cittadini decidere al momento del voto se questo intervento fosse o meno motivato. Le difficoltà economiche indotte dalla crisi, che naturalmente si sono ripercosse anche sui bilanci comunali, hanno poi suggerito al legislatore di intervenire anche sulla normativa del dissesto, sostituendo una disciplina chiara e precisa, che però impone lo stigma politico della sospensione della sovranità comunale, con la possibilità di un pre-dissesto, la possibilità cioè per un Comune di presentare un piano di riequilibrio finanziario che consenta di evitare la proclamazione immediata del dissesto e le sue spiacevoli conseguenze.
Non sorprendentemente, a qualche anno di distanza, i nodi vengono al pettine e i problemi si ripropongono largamente irrisolti. Un intervento legislativo saggio ha poi imposto ai Comuni di ripulire i bilanci dai «residui attivi», entrate relativi a tributi e tariffe del passato, ma che riportati al futuro consentivano di chiudere i bilanci e finanziare la spesa. Naturalmente, siccome poi solo una parte molto limitata di queste entrate veniva effettivamente incassata, questo creava di fatto un debito implicito dei Comuni che nel giro di qualche anno riproponeva il problema e richiedeva un intervento compensativo da parte dello stato. Eliminato o ridotto il meccanismo, il problema dell'insufficienza delle risorse per finanziare la spesa corrente si è però presentato con chiarezza, soprattutto nelle aree più deboli del Paese. C'è poi il problema dei meccanismi di riscossione coattiva dei tributi e delle proventi comunali, che nonostante gli sforzi manca ancora di una disciplina unitaria e completa, a fronte di una mole rilevante di normative nazionali, regolamentazioni locali, prassi e giurisprudenza. Anche qui, abbiamo assistito negli anni ad un balletto inverecondo, con Equitalia, ora trasformata in «Agenzia delle entrate-riscossione», che in teoria avrebbe dovuto smettere di occuparsi della riscossione comunale fin dal 2014, ma che poi di proroga in proroga è arrivata fino a oggi. Ma come mostra anche la stessa eterogeneità dei risultati tra i Comuni, la riscossione coattiva è solo l'ultima parte di una filiera complessa e le inefficienze nella struttura organizzativa comunale che precede la riscossione coattiva ne determinano i risultati. Su questo è prioritario intervenire.

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