Fisco e contabilità

Senza risposta entro 180 giorni si apre la strada del contenzioso

In questi giorni è scoppiato un vero e proprio caso Tari per via dell’errore commesso da diversi comuni con l’applicazione della quota variabile anche alle pertinenze delle utenze domestiche. Si attende ora un’ondata di richieste di rimborsi e i Comuni sono quindi costretti a correre ai ripari. La questione però non è di facile soluzione, anzi rischia di avere effetti negativi sulle bollette del 2018.

La verifica della posizione in bolletta
Intanto i contribuenti devono verificare la loro posizione per capire se hanno diritto al rimborso. Occorre guardare gli avvisi di pagamento Tari nella parte relativa al dettaglio delle somme da pagare: qui sono solitamente indicate le unità immobiliari con i dati catastali, la superficie tassata, il numero degli occupanti e la quota fissa e variabile distinta per ogni unità immobiliare. Se la quota variabile è presente anche per le eventuali pertinenze, allora il contribuente dovrà chiedere il rimborso al Comune presentando una semplice istanza in carta libera contenente tutti i dati necessari (si veda il fac-simile). Non occorre in questa fase ricorrere a professionisti, che potrebbero comunque entrare in campo successivamente per curare il contenzioso.
In caso di gestione esternalizzata del tributo, ad esempio da parte della società che gestisce il servizio rifiuti, il contribuente deve presentare a questa e non al Comune l’istanza di rimborso. Per capirlo basta leggere l’avviso di pagamento: se questo è intestato alla società, l’istanza dovrà essere presentata ad essa. La richiesta va inoltrata entro 5 anni dal pagamento e il Comune ha 180 giorni per rispondere, altrimenti si apre la strada del contenzioso.

La posizione dei Comuni
Insomma dal punto di vista del contribuente la procedura è piuttosto chiara, non altrettanto chiara è invece la posizione dei Comuni. Questi, più che limitarsi a gestire le singole richieste di rimborso, dovrebbero procedere autonomamente a una rideterminazione complessiva delle tariffe relative alle utenze domestiche: quelle con pertinenze, che sono state penalizzate e quelle senza pertinenze che invece hanno ricevuto una bolletta più leggera. L’operazione dovrebbe quindi essere neutra per i Comuni, trattandosi in sostanza di ripartire in maniera corretta, ma diversa, la quota variabile delle utenze domestiche. Ma così i Comuni saranno costretti a richiamare alla cassa moltissimi contribuenti, anche a distanza di anni. Non solo. La rideterminazione della quota variabile di fatto comporterà una riduzione dell’importo da rimborsare al singolo contribuente. Per esemplificare al massimo (ma in realtà i calcoli sono più complessi), se il Comune ha una quota variabile complessiva di 1 milione di euro e l’ha ripartita su 10mila utenze (comprese le pertinenze), la quota individuale variabile sarà di 100 euro. Se il Comune avesse invece correttamente ripartito la stessa quota di 1 milione di euro su 8mila utenze (numero corretto delle utenze, senza pertinenze) la quota individuale sarebbe di 125 euro. Naturalmente questi calcoli può farli solo il Comune in sede di rimodulazione della quota variabile per tutte le utenze domestiche. Altre soluzioni, come quella di porre a carico della fiscalità generale l’importo rimborsato oppure spalmarlo sui contribuenti Tari nelle prossime bollette, non ci sembrano corrette.
A questo punto è però necessario che qualcuno dica ai Comuni cosa fare esattamente, se si vuole evitare che questi vadano a ruota libera e finiscano per recuperare gli importi rimborsati aumentando le tariffe del 2018. Sarebbe una beffa per i contribuenti.

Il fac-simile per la richiesta di rimborso

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