Fisco e contabilità

Spending locale, paga solo il personale

Le manovre a ripetizione che hanno accompagnato gli anni della crisi hanno chiesto a Comuni e Province 12,2 miliardi, cioè poco meno della metà dei 25,1 miliardi di riduzione del deficit pubblico realizzata tra 2010 e 2015.
Il conto cumulato dai vari interventi si è trasformato negli enti locali in una riduzione effettiva di spese correnti da 2,4 miliardi (-6% in termini reali), e il resto si è tradotto in un crollo degli investimenti e in aumenti di entrate. Fra i sindaci, insomma, la “spending” ha alleggerito le uscite, ma sono le voci più colpite a sollevare dubbi sul futuro. Il 78% dei tagli è stato assorbito dalla spesa di personale, frenata dal congelamento di turn over e stipendi: due argini che ora cadono (martedì riprenderà il confronto sui contratti degli statali), aprendo un varco che potrebbe riportare in fretta i costi ai livelli prima della cura.

Le cifre cruciali
Sono queste le cifre cruciali nella pioggia di dati presentati ieri al ministero dell’Economia per tracciare un consuntivo delle misure anti-crisi. Lo studio, elaborato da Ragioneria generale e Palazzo Chigi sulla base dei rendiconti censiti dal Viminale, ha voluto mettere in fila i numeri per combattere la tendenza manichea assunta dal dibattito sulla finanza pubblica, diviso fra chi accusa i governi (Berlusconi, Monti, Letta e Renzi) di aver fatto pagare la crisi agli enti locali “salvando” i ministeri e chi invece propone una visione opposta in cui gli sprechi locali vanificano gli sforzi centrali. E i numeri, come sempre, proiettano una realtà più articolata di quella disegnata dalle parole d’ordine della polemica. «La spending review non è un’accetta - ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan commentando i dati - ma una riqualificazione della spesa. Ora occorre accelerare i meccanismi degli investimenti , perché il loro contributo darebbe più quantità e qualità alla crescita, e aumenterebbe il nostro peso in Europa offrendoci argomenti aggiuntivi per dimostrare che la flessibilità è stata usata bene».

Il problema investimenti
E in effetti i numeri della Ragioneria generale dicono che il rilancio degli investimenti resta il grande assente nei conti locali: i primi 10 mesi di quest’anno viaggiano agli stessi ritmi del 2016, fermatosi il 15% rispetto all’anno prima quando la chiusura della finestra utile per spendere i fondi dello scorso ciclo di programmazione europea ha prodotto una gobba nella spesa. Il quadro delle uscite correnti locali si completa con una riduzione degli interessi sul debito (10,8% dell’aggiustamento) e con gli acquisti di beni e servizi, che sono il terreno di gioco principale dei tentativi di spending review ma hanno assorbito solo il 16,1% delle riduzioni di spesa, alleggerendosi in termini reali del 2,3%: risultato modesto, ma migliore rispetto a quello dello Stato che per la stessa voce ha visto crescere le uscite del 2,2 per cento. Ma sorprese ulteriori arrivano quando si smette di guardare all’aggregato dei Comuni per individuare i singoli comportamenti: si scopre così che la gelata della finanza pubblica non è stata uguale per tutti, e che fra 2010 e 2015 quasi un municipio su tre ha aumentato la spesa, e che uno su sei l’ha fatto in maniera significativa (con aumenti superiori al 10%). «L’analisi - ragiona Luigi Marattin, consigliere economico di Palazzo Chigi - dimostra una volta per tutte che è sempre meno possibile trattare i 7.978 comuni italiani con le stesse politiche. Il fatto che il 36% dei comuni ha tagliato la spesa corrente di oltre il 10% e che il 14% degli enti l’ha aumentata di una misura analoga mostra che dobbiamo essere sempre più in grado di premiare i primi e forzare il cambiamento nei secondi. E di costruire un nuovo patto tra i livelli di governo, basato su autonomia e responsabilità». Tra i capitoli del patto c’è anche l’intesa sui correttivi alla manovra che ha portato ieri alla pubblicazione dei dati sui fondi comunali 2018: i ritocchi hanno attenuato senza cancellare l’effetto delle novità che provano a distribuire i fondi superando i criteri della spesa storica. Tra le grandi città, le notizie peggiori arrivano a Napoli (13 milioni in meno rispetto a quest’anno) e Roma (sei milioni in meno), mentre le migliori riguardano Bologna +3,7 milioni).

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