Fisco e contabilità

Nelle partecipate 108 miliardi di passivo

Nelle partecipate di Regioni ed enti locali ci sono 108,2 miliardi di debito, 38 dei quali sono concentrati nelle società interamente pubbliche. Per una fortuna contabile, però, questo passivo (6,2% del Pil in totale, 2,2% guardando alle società che hanno solo enti pubblici fra i soci) non entra nel conto del debito pubblico perché le aziende, tranne rarissimi casi, non sono nell’elenco Istat che traccia i confini del bilancio consolidato della Pa.
Il dato arriva dalla Corte dei conti, ed è scritto nel referto 2017 sulle partecipate pubbliche depositato ieri dalla sezione delle Autonomie (delibera 27/2017).

I numeri della Sezione autonomie
Nelle 318 pagine di grafici e tabelle messe in fila dai magistrati contabili si incontrano però anche buone notizie. Due, in particolare. I risultati finanziari delle partecipate migliorano, e le aziende in perdita sono passate dal 28 al 25% del totale in quattro anni (chiudono in rosso, in pratica, un centinaio di aziende in meno, nel panorama di 2.731 impresedi cui la Corte è riuscita a censire tutti i bilanci). I risultati delle società in perdita strutturale non migliorano ma, e questo è il secondo dato leggibile in chiave “ottimista”, l’attuazione della riforma Madia dovrebbe cancellare il problema imponendo la chiusura o la cessione delle imprese decotte entro il 30 settembre 2018. Conti alla mano, a cadere saranno almeno 275 partecipate che hanno chiuso in rosso tutti i bilanci dal 2012 al 2015, registrando perdite cumulate per 1,45 miliardi in quattro anni.

La fotografia
Come sempre quando ci si addentra nel dedalo delle partecipazioni pubbliche, i dati sono parziali perché una parte di enti locali non risponde ai monitoraggi. Nel nuovo referto, la Corte ha contato 7.315 partecipate, un universo all’interno del quale solo una società su tre è attiva nei servizi pubblici. Le altre non lavorano per i cittadini ma per le pubbliche amministrazioni, a cui offrono attività strumentali: e proprio su queste dovrebbero concentrarsi i tagli imposti dalla riforma che dopo la lunga fase preparatoria entra ora nel vivo dell’attuazione. Entro fine settembre gli enti hanno dovuto inviare al ministero dell’Economia i piani con le società da dismettere, senza possibilità di scelta quando non si rispettano i parametri automatici di bilancio e di dimensioni scritti nella riforma, e nei 12 mesi successivi bisognerà passare ai fatti, pena la sospensione dei diritti di socio e il rischio di essere costretti alla liquidazione in denaro.
Nei numeri del referto si incontrano anche gli effetti delle riforme mancate, come il tentativo di liberalizzazione dei servizi caduto sul filo dell’approvazione: su 14.941 affidamenti censiti, solo 939 (il 6,3%) sono passati da una gara.

Il referto della Sezione autonomie della Corte dei conti

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