Fisco e contabilità

Lavoro, immigrati scuola e banche: nei fondi le scelte della legislatura

Le scelte di fondo della legislatura che si è chiusa ieri si possono tradurre in numeri: sono quelli del bilancio statale, che nella sua ultima evoluzione, relativa al prossimo anno, è appena stata costruita con la manovra.
Il confronto con la situazione di partenza, nel 2013, misura le strategie adottate dai tre governi che si sono susseguiti a Palazzo Chigi, e anche la loro possibilità di realizzazione. Perché la cornice di finanza pubblica è quella che è, e ha rappresentato in tutti questi cinque anni una gabbia difficilmente scardinabile. Sul piano del consolidamento dei conti, il risultato più rotondo, rivendicato anche ieri in conferenza stampa dal premier Paolo Gentiloni, è la riduzione del deficit, passato dal 2,9% del 2013 all’1,6% messo in calendario per il prossimo anno. Meno brillante il risultato del debito, salito dal 129% al 131,6% di quest’anno, con la prospettiva di portarlo al 130% del prossimo. Riduzione «simbolica», come riconosciuto dallo stesso Gentiloni.

Chi sale e chi scende

Ma in che cosa si traduce questa evoluzione della spesa? Crescono gli impegni per lavoro, scuola e università (dopo anni di magra), aumenta il peso delle politiche per la competitività e l’impresa e il salva-banche allarga il perimetro delle «politiche economico-finanziarie». Esplode la voce che riguarda la gestione dei migranti, mentre si sgonfia il capitolo delle «politiche di coesione», legato anche ai cicli di programmazione Ue per gli interventi al Sud, e viene limata la dotazione per gli «organi costituzionali», cioè Quirinale, Consulta, Palazzo Chigi e Parlamento. A far scendere le somme dedicate ai «costi della politica», come da etichetta corrente e non troppo felice, è anche il tramonto progressivo del finanziamento pubblico ai partiti. Non riesce a fare dietrofront, invece, la spesa per il funzionamento dei ministeri e della macchina amministrativa nel suo complesso: per l’anno prossimo è previsto uno stanziamento del tutto analogo a quello del 2013, anche perché i 2,85 miliardi di costo lordo del rinnovo contrattuale azzerano di fatto i risparmi accumulati negli anni dell’«austerità».

Il confronto

A rendere leggibile il bilancio pubblico è la riforma della contabilità, figlia anch’essa di questa legislatura, che fissando l’articolazione per «missioni» offre una fotografia finalmente comprensibile dei vari impegni di spesa. Certo, i numeri non indicano il costo totale di ogni intervento, ma solo il suo impatto sui conti pubblici dell’anno. Le pensioni, per esempio, costano ogni 12 mesi circa il triplo dei 93,5 miliardi indicati sotto la voce «politiche previdenziali», perché larga parte è coperta dai versamenti contributivi. Su queste basi, si possono confrontare i numeri del 2013, quando la legislatura è iniziata, con quelli del 2018, su cui si ripercuoteranno le scelte appena assunte nella manovra: nel misurare la variazione percentuale si tiene conto della (leggera) inflazione maturata nel periodo.

La sanità

A nascondersi fra le pieghe dei conti nazionali è anche la sanità. Non va cercata alla voce «salute», dove sono registrati gli impegni per la vigilanza sui farmaci e il piccolo finanziamento per i livelli essenziali di assistenza. Il fondo sanitario è infatti gestito dalle Regioni, e il concorso dello Stato (73,2 miliardi l’anno prossimo, pilastro dei 114 miliardi alimentati anche dall’Irap e dalle compartecipazioni fiscali delle Regioni autonome) entra nel capitolo dei rapporti finanziari con le Autonomie. Su quest’ultimo aspetto la manovra ha fatto poco, come mostrano anche gli appunti diffusi ieri dall’Ufficio parlamentare del bilancio sul fondo da 60 milioni per ridurre il «super-ticket» da 10 euro su diagnostica e visite specialistiche. Il problema è serio, perché lo stesso dossier indica (sulla base di dati Eurostat) che il 6,5% degli italiani rinuncia a visite mediche giudicate troppo costose (e lo stesso comportamento riguarda il 14,2% delle persone nella fascia di reddito più basse). Ma i 60 milioni possono cambiare poco, rileva l’Authority, e la loro efficacia dipende dai criteri di distribuzione che saranno scelti con i governatori.

Le «emergenze»

La dinamica dei conti pubblici registra anche i tentativi di affrontare le tante crisi del periodo. Si spiega così, prima di tutto, la spesa per la gestione dei migranti, cresciuta di 2,5 volte in cinque anni. Ma l’esigenza di combattere le ricadute della gelata dell’economia ha alimentato anche le politiche per il lavoro (+47,5% di impegni nel periodo) e quelle per la famiglia (+21,9%).

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