Fisco e contabilità

Solo la dichiarazione preventiva può escludere i magazzini dalla Tari

di Pasquale Mirto

I magazzini sono soggetti a tassa rifiuti e le esclusioni di superficie per produzione di rifiuti speciali non assimilati agli urbani devono essere oggetto di dichiarazione preventiva. Sono questi gli importanti principi ribaditi dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 3800/2018. Si tratta di principi che si possono considerare già consolidati nella giurisprudenza di Cassazione, ma l'la pronuncia merita di essere evidenziata perché ancora una volta si sostiene la tassabilità dei magazzini, che al contrario viene esclusa (incomprensibilmente) a priori dall'ultima bozza del decreto sulle assimilazioni (su cui si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 27 settembre 2017); anche se di fatto più che dettare criteri il decreto in questione, in gestazione ormai da luglio dell'anno scorso, prevede delle esclusioni di superfici, indipendentemente dalla tipologia dei rifiuti prodotta, come appunto per i magazzini.

I criteri
La sentenza parte dalla considerazione che il presupposto per l'assoggettamento a tassa rifiuti è il possesso o detenzioni di locali «suscettibili di produrre rifiuti», a qualsiasi uso destinati, presupposto peraltro identico alla Tarsu, alla Tia, alla Tares e alla Tari. In sede di accertamento spetta al Comune dimostrare l'esistenza del presupposto, cioè l'occupazione di locali, mentre spetta al contribuente dimostrare e dichiarare l'esistenza delle condizioni che legittimano le riduzioni o le esclusioni, in quanto queste «non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti». Peraltro, la Cassazione ha monoliticamente affermato che le riduzioni possono essere riconosciute solo se la dichiarazione è presentata nei termini previsti dalla legge o dal regolamento comunale, non potendosi sanare l'omissione a posteriori in sede contenziosa. Per quanto riguarda i magazzini è nuovamente confermato che un'area che non sia destinata a lavorazioni artigianali e dunque alla produzione di rifiuti speciali, ma sia usata come magazzino di rifiuti prodotti in altri locali dell'unico complesso aziendale, va compresa nel calcolo della superficie tassabile, «atteso che i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui di un ciclo di lavorazione».

I principi e il decreto «fantasma»
D'altro canto è intuitivo che l'eventuale produzione di rifiuti speciali in un magazzino, non essendo luogo di lavorazione, può essere solo eventuale ed episodica, non rispettando quindi la condizione normativa della destinazione in via prevalente e continuativa alla produzione di rifiuti speciali non assimilati. Questi consolidati principi, come detto, cozzano con la bozza del decreto assimilazioni, il quale dispone a priori che «non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti speciali non pericolosi prodotti da attività agricole e agro-industriali, da attività industriali e da attività artigianali di produzione che si formano nelle aree e nei locali ove si svolgono tali attività compresi i magazzini, ad uso esclusivo, di materie prime, di merci e di prodotti finiti», aggiungendo poi anche che «non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti speciali non pericolosi prodotti nei magazzini ad uso esclusivo delle attività commerciali». Sempre che questo decreto veda mai la luce.

La sentenza della Corte di Cassazione n. 3800/2018

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