Fisco e contabilità

Ricerca, il contenimento della spesa pubblica giustifica il tetto retroattivo al credito di imposta

La previsione retroattiva, al fine del contenimento della spesa pubblica, di un tetto massimo per la fruibilità del credito di imposta per la ricerca, regolato con il criterio della priorità temporale dell'invio della domanda fino ad esaurimento delle risorse, è pienamente legittima e non contrasta con il principio dell'affidamento dei privati. La necessità di salvare le casse dello Stato, infatti, rende ragionevole l'intervento normativo del legislatore. Questo è quanto si desume dall'ordinanza della Sezione lavoro della Cassazione n. 8263, depositata ieri.

Il caso
Protagonista della vicenda è una società specializzata nella produzione di forni da vuoto per l'industria che, a cavallo tra il 2008 e il 2009, aveva chiesto di fruire del credito di imposta per il sostentamento di spese per attività di ricerca e sviluppo finalizzate all'innovazione, previsto dalla legge 296/2006 (legge Finanziaria 2007) e successivamente modificato dalla Dl 185/2008 (Decreto cosiddetto anti crisi), effettuando investimenti per un credito complessivo di circa 100 mila euro. La domanda veniva però respinta dall'amministrazione competente, la quale riconosceva sì il diritto al benefico da parte della società, ma allo stesso tempo negava la possibilità per la stessa di poterne usufruire per esaurimento dei fondi. Tale diniego era giustificato dal fatto che, mentre la normativa del 2006 concedeva il credito a qualunque impresa, senza necessità di prerequisiti e in assenza di limiti alla fruizione; la normativa del 2008 fissava retroattivamente un tetto quantitativo con predeterminazione degli stanziamenti nel bilancio pubblico e ripartizione dei fondi disponibili sulla base del criterio cronologico. In sostanza, la società richiedente si era mossa troppo tardi per ottenere il beneficio fiscale.

Il ricorso
La questione arrivava poi dinanzi alla giustizia tributaria che, dopo il parere favorevole in primo grado, in appello confermava la bontà del diniego alla fruizione. E lo stesso fa la Cassazione che confuta le argomentazioni contrarie sostenute dall'impresa in tema di legittimo affidamento e di efficacia retroattiva della normativa tributaria. Per la società, infatti, il legislatore, modificando le condizioni di accesso con la previsione di un tetto massimo valevole anche per gli anni passati, avrebbe leso l'affidamento riposto dalla medesima nella possibilità di ottenere l'agevolazione fiscale, nonché violato i parametri costituzionali sulla retroattività degli interventi legislativi.


L'esigenza di salvaguardare le finanze pubbliche
Nello spiegare le motivazioni della correttezza del diniego, i giudici di legittimità si ricollegano alla sentenza 149/2017 della Corte costituzionale, che già si era occupata di analogo problema, precisando che «un intervento normativo anche retroattivo, incidente su diritti perfetti, non è necessariamente incostituzionale, purché risponda a criteri di razionalità, di salvaguardia di altri valori costituzionali, di proporzionalità». Nella fattispecie, poi, è chiaro che l'intervento normativo del 2008, il quale ha modificato i criteri di accesso al credito d'imposta anche per gli anni passati, appariva come «necessario per tutelare altri sopravvenuti interessi pubblici di rango costituzionale, quale la tutela dell'equilibrio del bilancio dello Stato». In sostanza, chiosa la Corte, la mancanza di un tetto massimo per la fruibilità del credito d'imposta, con la conseguente possibile voragine nei conti pubblici, ha reso necessario l'intervento retroattivo per salvaguardare le finanze statali.

L’ordinanza della Corte di cassazione n. 8263/2018

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