Fisco e contabilità

Conti pubblici, lo stallo e le misure «minime» per evitare l’esercizio provvisorio

Lo stallo politico allunga anche i tempi del mini-lavoro parlamentare. I motori dell’esame del Def nelle commissioni speciali si accenderanno martedì, con l’intervento del ministro dell’Economia Padoan; ma deputati e senatori puntano a un ricco calendario di audizioni, che terrà il documento in commissione almeno fino a giovedì 17 maggio, con il mandato al relatore per l’Aula dove poi andranno votate le risoluzioni.

Ma la melina aumenta le incertezze sulla finanza pubblica, e sul rischio di un risveglio brusco dopo la fase di calma apparente che circonda il nostro debito. «I mercati restano tranquilli – ragionava ieri l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli –, ma lo stallo pesa perché ritarda decisioni importanti per l’economia». Per questo si guarda alle decisioni del Quirinale, che potrebbero portare alla formazione di un governo di scopo per avviare in fretta i lavori sulla manovra: mossa necessaria a evitare un esercizio provvisorio che farebbe aumentare l’Iva e aprirebbe al rischio di fiammate sui mercati. E proprio l’agenda di un esecutivo di questo tipo torna a far circolare tra i papabili premier anche Cottarelli, che da commissario alla spending elaborò un dossier rilanciato dai programmi di M5S e Centro-destra.

Ma qualsiasi sia la formula di governo che i partiti saranno disposti ad avallare, il mancato accordo sui contenuti che ha pesato finora è destinato a ridurre anche il raggio d’azione della manovra. Che sarebbe concentrata su i provvedimenti giudicati più o meno inevitabili.

Una griglia costruita al ribasso porterebbe a concentrare l’attenzione quasi solo sul blocco dell’Iva, che ha bisogno di 12,4 miliardi per il 2019 (e 19,1 nel 2020). Per Iva e «spese indifferibili», che già nel nome indicano il loro carattere inevitabile e riguardano i finanziamenti a enti pubblici come Inps o Anas e le missioni internazionali, bisognerebbe raccogliere una cifra vicina all’1% del Pil, 16-17 miliardi. L’elenco degli obblighi comprende anche altre voci, a partire dal nuovo contratto del pubblico impiego (quello appena chiuso vale 5,4 miliardi a regime), ma l’esperienza insegna che questi termini sono meno perentori.

Sul piano pratico torna però il problema che ha caratterizzato queste settimane di discussioni a vuoto: c’è l’accordo sullo stop agli aumenti Iva, ma non sulle coperture per realizzarlo davvero. Dalla Lega, per esempio, Armando Siri (l’ideatore della Flat Tax del Carroccio) spiega che «senza misure strutturali pro-crescita è inevitabile agire sul deficit, e bisogna cogliere l’occasione per cancellare del tutto le clausole senza rimandarle di anno in anno come si è fatto finora». Ma in Forza Italia risuonano posizioni diverse, a partire da quella rilanciata dall’ex ministro Renato Brunetta che invoca «una maxi-operazione di spending review, il rilancio delle privatizzazioni e l’alienazione del patrimonio pubblico per raccogliere i 30 miliardi necessari in due anni». Un «no» a una manovra in deficit arriva anche dai Cinque Stelle, che propongono di dirottare alle misure anti-Iva una parte delle coperture pensate per il reddito di cittadinanza, e composte da un mix fra spending review, taglio alle detrazioni e alla deducibilità degli interessi passivi di banche e assicurazioni. Più prudenti le ricette targate Pd, che con Luigi Marattin ipotizza «un bilanciamento fra spending review e maggior deficit, aiutato da un’evoluzione delle regole fiscali Ue con il consiglio europeo del 28 e 29 giugno».

Fin qui le ipotesi in gioco, che sono però ancora delle incompiute e solo con la discussione sul Def cominceranno ad arricchirsi. E a fare i conti con il fatto che l’Italia ha appena confermato per l’anno prossimo una correzione di bilancio da oltre 13 miliardi, che per essere modificata ha bisogno di un voto a maggioranza assoluta in Parlamento e di un via libera europeo tutto da conquistare.

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