Fisco e contabilità

Padoan: per l’Iva non serve decreto ma legge di bilancio

L’avvio ufficiale dell’esame parlamentare del Def con l’audizione del ministro dell’Economia Padoan si concentra subito sulla questione delle clausole Iva, e scalda la polemica fra il governo uscente e il Movimento 5 Stelle. Ma il confronto si accende più sulle procedure che sulle coperture, tema sul quale finora i partiti hanno accennato a ricette diverse fra deficit (Lega), misure elaborate a suo tempo per finanziare il reddito di cittadinanza (M5S), maxi-spending (Fi) o mix fra tagli e indebitamento (Pd).

Padoan ha spiegato alle commissioni riunite di Camera e Senato di «auspicare la rimozione delle clausole Iva»; ma rispondendo alle domande dei parlamentari ha aggiunto che «non c’è alcun bisogno di un decreto d’urgenza». La prospettiva indicata dal ministro dell’Economia passa attraverso «l’elaborazione di un quadro programmatico», che manca nel Def solo tendenziale approvato dal consiglio dei ministri, e arriva «in autunno alla Nadef e al disegno di legge di bilancio». In pratica, come prevede la legge 196 che nel 2009 ha riformato il ciclo di bilancio, prima si fissano gli obiettivi aggiornati su deficit, debito e sulle altre cifre chiave della finanza pubblica, e poi nella manovra si decidono le misure per raggiungerli.

Un calendario del genere non piace però ai Cinque Stelle, che rilanciano l’idea del decreto-Iva evocata nei giorni scorsi da Luigi Di Maio per sgombrare il campo dall’ostacolo più ingombrante, almeno sul piano interno, sulla strada di un ritorno veloce al voto. «Un decreto immediato per sterilizzare le clausole - sostengono in una nota - disinnescherebbe subito la mina più pericolosa sul percorso della nostra economia e alleggerirebbe rischi e incombenze della sessione di bilancio». Anche l’anno scorso un pezzo della strada necessaria a evitare gli aumenti Iva fu compiuto per decreto, come ricordato ieri dallo stesso Padoan (4,4 miliardi con la manovrina correttiva di aprile e 340 milioni con il collegato fiscale di ottobre, prima che la manovra mettesse i 6,1 miliardi che mancavano): ma si è trattato di provvedimenti con effetti immediati e ricadute da “trascinamento” sull’anno successivo, com’è indispensabile per i decreti che vengono motivati dalle ragioni di «necessità e urgenza». Sulla linea-Padoan si attesta il Pd, che con Francesco Boccia annuncia la presentazione di una «una risoluzione unitaria in cui si ribadisce la necessità di evitare l’aumento dell’Iva». La decisione su come sterilizzare le clausole, aggiunge, «sarà inserita nella Nadef», mentre «continuare a richiamarela necessità di un decreto sembra strumentale, oltre che sbagliato».

Per il momento, nei documenti di finanza pubblica i 12,4 miliardi sul 2019 e i 19,1 sull’anno successivo restano parte integrante del percorso che dovrebbe portare l’indebitamento netto allo 0,8% l’anno prossimo e a zero nel 2020. Sulle prospettive, ragiona però Padoan, pesano i rischi internazionali, che si concentrano su incognite geopolitiche e guerra dei dazi ma guardano anche all’ipotesi che «il quadro di stabilità finanziaria sia messo a repentaglio dagli elevati corsi azionari, i bassi differenziali di rendimento sui titoli corporate a reddito fisso e l’elevato indebitamento di alcuni comparti». Sul lato della crescita, invece, è ovviamente l’incertezza politica a essere «potenzialmente in grado di frenare in particolare la diffusa ripartenza degli investimenti» privati, che sono stati fin qui uno dei motori della ripresa ma «risentono del clima di fiducia e degli incentivi» (iper e super-ammortamento, senza proroghe, tramontano a fine anno).

Ma lo stallo produce altre due incognite sulla finanza pubblica, centrale e locale. La prima è stata evocata dal presidente della Corte dei conti Angelo Buscema, che nella sua audizione ha chiesto di abbattere con più decisione il debito nel corso della «straordinaria finestra di opportunità del 2018-20»ma con una spending review più selettiva.

A indicare le emergenze “sociali” è stato invece, nell’ultima audizione di ieri, il presidente del Cnel Tiziano Treu, che ha voluto segnalare «un allarme al futuro Governo e al Parlamento» su povertà, Sud, lavoro giovanile e famiglia.

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