Fisco e contabilità

Sull’imposta di pubblicità rimborsi con incognita

Obbligo di rimborso per tutti i Comuni. Sembra questa la conclusione contenuta nella bozza della risoluzione n. 2/2018 del dipartimento delle Finanze, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 15 dello scorso 10 gennaio (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 31 gennaio).
La risoluzione, anticipata sul Quotidiano degli enti locali e della Pa di giovedì scorso, riporta la cronistoria delle modifiche normative e delle motivazioni espresse dalla Corte Costituzionale, aderendo ossequiosamente all’interpretazione proposta dalla Consulta e ritenendola sufficiente per disporre i rimborsi a decorrere dal 2013.

La legittimità delle delibere comunali
La partita vale diverse centinaia di milioni e merita qualche considerazione aggiuntiva, anche perché il primo problema da porsi è quello della legittimità delle delibere comunali; le quali non sono state oggetto d’impugnazione da parte dello stesso ministero delle Finanze, cui spettava l’obbligo di impugnarle ovviamente anche nel caso di proroga tacita.
Le delibere tariffarie comunali si sarebbero potute considerare automaticamente illegittime solo nel caso in cui la sentenza 15/2018 avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 739 della legge 208/2015, ma così non è stato. Né la proposta interpretativa contenuta nella decisione della Consulta è vincolante per i giudici tributari e per quelli di legittimità, non operando nel nostro ordinamento il principio autoritario dello «stare decisis»; l’ostacolo arriva direttamente dal dettato costituzionale, che disegna i rapporti interni alla magistratura in termini di pari dignità (articolo 107 della Costituzione; sul punto si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 23 aprile).

Il nodo dei rimborsi
La prima conseguenza è quindi che, fino a quando non viene dichiarata da un giudice l’illegittimità della delibera comunale, non può essere disposto alcun rimborso, né è immaginabile, senza incorrere nel rischio di danno erariale, che il funzionario comunale autonomamente consideri illegittima la delibera e disponga l’indennizzo.
Se l’ente non vuole affrontare l’inevitabile contenzioso tributario, dovrà quindi prima di tutto disporre in via di autotutela l’annullamento delle delibere tariffarie, espresse o tacite che siano, con le quali sono stati confermati gli aumenti dal 2013 in poi.
In tutta questa vicenda, alquanto paradossale, occorre però chiedersi qual è il senso del comma 739 della legge 208/2015, il quale all’evidenza non può essere quello di confermare l’ovvio, ovvero quello di dire che gli aumenti disposti prima dell’abrogazione dell’articolo 11 della legge 449/1997 sono legittimi. È come dire che le tariffe Tares deliberate prima dell’abrogazione della Tares stessa sono legittime.
E soprattutto occorre chiarire la portata del precetto normativo per cui «l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi» della facoltà di disporre l’aumento. L’unico significato che si può attribuirgli è quello di confermare gli aumenti già deliberati, i quali rimangono confermati per il futuro anche a seguito dell’abrogazione della norma che li ha consentiti («l’abrogazione non ha effetto»). Diversamente, occorre individuare un altro significato oppure sostenere che la norma è stata inutilmente scritta, Ma questo violerebbe il principio di conservazione delle leggi.
Sarà necessaria quindi una nuova norma di interpretazione autentica della precedente norma di interpretazione autentica.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©