Fisco e contabilità

Niente Tia se il bene non è idoneo a produrre rifiuti

di Andrea Alberto Moramarco

Il presupposto impositivo della Tia - tariffa di igiene ambientale, ovvero il sistema di finanziamento comunale della gestione dei rifiuti e della pulizia degli spazi comuni, oggi sostituita dalla Tari - è costituito dalla presenza di locali idonei alla produzioni di rifiuti. Pertanto, l'assenza nell'immobile dei servizi essenziali determina l'inidoneità a produrre rifiuti ed esonera dal pagamento. Lo ha affermato la Sezione tributaria della Cassazione con la sentenza n. 13120/2018.

Il caso
La controversia prende le mosse da un avviso di accertamento relativo alla Tia per l'anno 2006, notificata dalla società concessionaria del servizio rifiuti della città di Lucca ad un contribuente. Questi era accusato di non aver pagato la tariffa prevista per un immobile di sua proprietà che, sebbene risultasse inoccupato perché privo dei servizi essenziali, non poteva beneficiare della esenzione prevista, in quanto il contribuente non aveva ripresentato al Comune la relativa richiesta di esclusione annuale, come prevedeva il regolamento comunale.
La questione è finita dinanzi ai giudici tributari che, sia in primo che secondo grado, si esprimevano in favore del contribuente. In particolare, secondo la Commissione tributaria Regionale della Toscana l'avviso di accertamento si fondava su una errata ricostruzione della disciplina prevista dall'articolo 62 del Dlgs 507/1993: presupposto impositivo della Tia è la disponibilità di locali «idonei alla produzione di rifiuti», mentre la denuncia al Comune doveva essere effettuata solo in caso di variazione nella disponibilità dell'immobile.

La decisione
La Cassazione ha confermato quanto già statuito nei gradi spiegando il meccanismo di funzionamento del vecchio tributo sui rifiuti e soffermandosi anche sulle prerogative comunali nella disciplina della materia. Quanto al primo aspetto, la Corte ribadisce che il presupposto impositivo della Tia è l'idoneità a produrre rifiuti, con la conseguenza che la mancata occupazione dell'immobile, o meglio l'assenza di servizi essenziali nello stesso bene, determina l'assoluta impossibilità di applicare il tributo. Quanto al secondo aspetto, nel sottolineare l'illegittimità della previsione del regolamento comunale che richiedeva la comunicazione annuale, il collegio sottolinea come la previsione non può in alcun modo essere intesa come una «illegittima compressione dell'ambito di autonomia riservato alle autonomie locali», come invece sostenuto nel ricorso. E infatti, chiosa la Corte, «il Comune non può pretendere di dettare regole (l'obbligo di denuncia annuale anche quando non vi siano variazioni da comunicare) che non rispondono a reali esigenze impositive e che quindi, oltre ad andare conto i principi dettati dallo Statuto del contribuente, non rispondano neppure a criteri di ragionevolezza». In definitiva, affermano i giudici, l’interpretazione «costituisce un ragionevole punto di equilibrio tra le esigenze impositive dell'ente locale e la salvaguardia del principio di correttezza, solidarietà e effettiva capacità contributiva, che impone di evitare di gravare il contribuente di adempimenti e preclusioni non strettamente funzionali alla corretta riscossione delle imposte».

La sentenza della Corte di cassazione n. 13120/2018

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