Fisco e contabilità

I numeri promuovono le «due fasi» di Tria-Savona

Mentre la sua attenzione è monopolizzata da vitalizi e migranti, l’Italia ha una «finestra di opportunità eccezionale» per accelerare nella riduzione del peso del debito sul Pil. E questa finestra può rimanere aperta fino al 2020.
Il linguaggio dei numeri è spesso ruvido per la politica dei tweet, ma può dare anche buone notizie a chi sa coglierle. E dall’analisi diffusa ieri dalla Corte dei conti arriva una sponda oggettiva al calendario in due tempi abbozzato in questi giorni dai due economisti del governo, Giovanni Tria e Paolo Savona, che sembra scrivere un’agenda diversa da quella cara ai due leader politici, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. All’ottimismo della volontà di chi chiede «subito» il reddito di cittadinanza o la Flat Tax, Tria e Savona hanno opposto non il pessimismo (sarebbe troppo) ma la cautela della ragione. Il titolare dell’Economia ha colto tutte le occasioni pubbliche per spalmare in un’ottica «di legislatura» i due pilastri del contratto di governo; e il collega agli Affari europei è stato ancora più chiaro, martedì scorso in Parlamento, nel disegnare un cronoprogramma che prima punta al rilancio degli investimenti e poi, grazie agli spazi fiscali che la crescita creerebbe per questa via, alle misure di spesa.

In questa dialettica interviene la Corte dei conti, indicando la «finestra di opportunità» aperta da due fattori: una ripresa dell’inflazione e i tassi di interesse abbassati dal Qe e dal suo lento tramonto. Grazie a questi due aiuti, ragiona la Corte, l’Italia può finalmente evitare l’effetto «palla di neve» che fa crescere in automatico il rapporto debito/Pil quando il costo medio dei titoli per la finanza pubblica supera il tasso di crescita nominale. Anzi, per la Corte nel 2018-20 il differenziale potrebbe finalmente essere positivo in media per due decimi di Pil, costruendo un piccolo scivolo su cui innestare la spinta di misure pro-sostenibilità.

Certo, il lungo stallo post-voto e le incognite sparse a piene mani fra gli investitori dalla stessa maggioranza giallo-verde hanno già chiuso in parte la finestra. L’asta di ieri (6,5 miliardi di Btp con scadenze fra tre e 15 anni) ha confermato i segnali di forza dei rendimenti e di debolezza della domanda, e lo spread sui decennali che rimane più vicino alla Grecia (120 punti sotto) che alla Germania (233 sopra) rischia di lasciar passare dalla finestra solo pochi spifferi. È però importante non scambiare le dinamiche di breve periodo con il passo lungo che deve cadenzare le scelte di politica economica. Ancora ieri, nei suoi incontri di Bruxelles, Tria ha mescolato la fedeltà al percorso di riduzione del debito con l’esigenza di evitare aggiustamenti «troppo forti» che rischiano di raffreddare ulteriormente la crescita, in una ricetta che solo a settembre troverà il suo bilanciamento effettivo. E sempre ieri, rispondendo al question time sulla riforma fiscale in commissione finanze, il Mef ha spiegato che i rischi di rallentamento della crescita impongono di «individuare misure che non vadano a incidere troppo pesantemente sulla fiducia dei mercati e sugli impegni presi con la Ue», per cui gli uffici lavorano a «soluzioni che possano permettere, in un arco temporale ragionevole, di giungere a un’applicazione progressiva di una forma di flat tax». Ma lo stop alla spesa corrente nominale indicato dallo stesso Tria in Parlamento, insieme al calendario-Savona che vede la ripresa effettiva degli investimenti pubblici prima di mettere mano ai capitoli chiave del contratto di governo, impongono di allungare ancora lo sguardo. Perché le stesse tabelle della Corte dei conti, con il -6,2% degli investimenti locali nel 2017, mostrano che la catena dalla ripresa del conto capitale ai suoi effetti sulla crescita è lunga. E ancora da riattivare.

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