Fisco e contabilità

Enti in dissesto, da Napoli a Catania «fallimento» eterno per 331 città in crisi

Due settimane fa la Corte dei conti ha commissariato di fatto il Comune di Napoli. Ha bloccato tutte le spese non obbligatorie, e avviato il meccanismo che per legge dà 60 giorni per tentare evitare il dissesto. Lo stesso ultimatum era arrivato a fine luglio a Catania. Ma niente paura. Il Milleproroghe si è preoccupato al Senato di salvare Napoli, e poi alla Camera si è ricordato di Catania. Ma come sempre, questi interventi salvano i sindaci e non i conti. Da anni la finanza pubblica non ha soldi da offrire agli enti locali in perenne crisi. La strada allora è quella del rinvio. Il nuovo calendario chiede un nuovo piano di riequilibrio entro novembre, e sposta il giudizio finale (si fa per dire) a primavera, dopo i consuntivi.
Napoli e Catania sono grandi e finiscono qualche volta sui giornali nazionali. Ma da Caserta a Vibo Valentia, da Milazzo alla Provincia di Siracusa, l’elenco degli enti locali che sono già finiti in dissesto o ballano sull’orlo del burrone come Cosenza o Messina si allunga. L’ultima lista del Viminale conta 126 enti locali in default: 118 (il 94%) sono al Centro-Sud. Al Nord il dissesto riguarda una manciata di piccoli Comuni piemontesi e due micro-enti lombardi, tra cui Campione d’Italia trascinato nel baratro dal suo Casinò.

Il riequilibrio mancato

Altre 193 amministrazioni sono invece nella condizione di Napoli e Catania, alle prese con il pre-dissesto introdotto nel 2012 da Monti per evitare fallimenti a catena negli enti del Sud nell’estate dello spread alle stelle e dell’allarme internazionale sull’Italia. Il pre-dissesto dovrebbe riportare l’equilibrio con un piano di risanamento in 10 anni, allungati fino a 20 dal penultimo salva-Napoli scritto a Natale nella manovra 2018. Anche qui, con 144 casi su 193 (75%), domina il Mezzogiorno, dove oltre a Napoli e Catania sono in questo limbo fra gli altri Foggia, Cosenza, Reggio Calabria e Messina. Nell’elenco non c’è Palermo, dove però la Corte dei conti ha bocciato i consuntivi 2015 e 2016 aprendo nuove incognite sul futuro prossimo del capoluogo.
Accanto a una geografia che punta a Sud, a caratterizzare le crisi dei Comuni sono i tempi. Infiniti, e resi tali proprio dalla tecnica del rinvio che fa pagare ai figli i debiti accumulati dai padri. Dal dissesto vero e proprio si dovrebbe uscire in cinque anni, dal “pre-dissesto” in 20 mentre i buchi aperti dalla cancellazione delle entrate mai incassate si possono ripianare in 30. Così il problema si incancrenisce, e schiaccia il futuro.

Numeri da incubo

A Napoli la rata da pagare al risanamento costerebbe 170 milioni all’anno: per infanzia e asili nido, giusto per capire le proporzioni, il Comune impegna meno di 30 milioni ogni 12 mesi, per il suo sterminato patrimonio culturale non arriva a 11 milioni e per l’edilizia residenziale pubblica la spesa è vicina allo zero.
Anche a Catania i numeri sono da incubo. Per Salvo Pogliese, eletto a giugno con il centro-destra, leggerli nella relazione della Corte dei conti è stata la prima esperienza da sindaco. Le cifre (1,58 miliardi di debito, un disavanzo annuale da 537 milioni) sono nate dalle verifiche sul consuntivo 2016, quando a guidare Catania era l’ex ministro dell’Interno e più volte sindaco Enzo Bianco (Pd), che a sua volta aveva ereditato il piano anti-default dal predecessore Raffaele Stancanelli (Forza Italia).
Ma la crisi dei Comuni non si limita ai dissesti conclamati e ai pre-dissesti. Nel complesso, gli 8mila Comuni italiani superano l’obiettivo del pareggio di bilancio, e anzi ogni anno regalano un maxi-saldo positivo ai conti pubblici del Paese (oltre 6 miliardi nel 2017). Al loro interno, però, c’è una minoranza che nei bilanci ha voragini. È la Corte dei conti a fornire i numeri: nel 2016 (l’esame dei consuntivi 2017 è in corso), solo 5 sindaci su 100 hanno chiuso l’anno in rosso, ma questi 418 Comuni sono bastati ad accumulare un disavanzo da 2,6 miliardi: un valore più che doppio, per esempio, al costo aggiuntivo prodotto quest’anno dalle fiammate dello spread sui nostri titoli di Stato. E anche qui il Centro-Sud domina, con un protagonismo assoluto della Sicilia che da sola totalizza un miliardo di deficit in 26 amministrazioni.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©