Fisco e contabilità

In arrivo la riforma del default

La parola «dissesto» sparirà dall’ordinamento, e con lei la paura dello stigma che spinge tanti amministratori locali a stiracchiare il più possibile i bilanci per evitare la cura del default. Dopo mille rimaneggiamenti “emergenziali” scritti spesso per salvare questo o quel grande Comune, le regole sulle crisi comunali non funzionano più e il dossier è tornato di stretta attualità sui tavoli del governo.

In cottura c’è una legge delega per affidare al governo, cioè a Mef e Viminale prima di tutto, il compito di rivedere gli ordinamenti e ripensare gli strumenti per risanare i bilanci che zoppicano. L’obiettivo è doppio: più trasparenza nelle procedure e sanzioni più certe per chi ha aperto i buchi nei conti.

L’equilibrio non è semplice da trovare, ma qualche idea arriva anche dalla riforma che anche nel settore privato ha voluto cancellare la vecchia idea del «fallimento». Da lì si potrà pescare l’idea del concordato in continuità, con la proposta di rimborso parziale ai creditori. Tra le ipotesi c’è l’esenzione dai tagli di spesa per i Comuni medi e piccoli nei cinque anni successivi al bilancio riequilibrato e un riordino dei controlli per affidare al ministero l’approvazione dei piani di risanamento e alla Corte dei conti le verifiche periodiche.

Certo, il riordino delle regole è fondamentale. Ma da solo non può fare molta strada se non si tappa la falla della riscossione locale e delle sue regole messe nel congelatore ormai da quasi dieci anni. A stringere il cappio che strozza molti dei Comuni in crisi c’è infatti un circolo vizioso fra inefficienza amministrativa ed evasione diffusa dei tributi locali. Perché dove i rifiuti restano in strada e il Comune non offre servizi, è più diffusa la propensione a non pagare imposte e tariffe, e la convinzione (fondata) che si resterà impuniti arriva a trasformare l’evasione in un’abitudine pandemica.

È cresciuta anche così la montagna dei 13,6 miliardi di arretrati fra imposte, tariffe e multe che i Comuni dovrebbero incassare. Ma a Napoli, per esempio, i magistrati contabili hanno calcolato che il Comune è riuscito l’anno scorso a incassare un triste 1,35% dei tributi arretrati, e a Catania nel 2015 si è arrivati all’abisso dello 0,35% di recupero.

Nei bilanci degli enti si accumulano per questa via montagne multimilionarie di “Npl comunali” che crollano al primo controllo sui conti. Senza chiudere questa falla, sembra difficile che i tentativi di risanamento riescano a fare qualche passo dalla carta dei piani di rientro alla realtà.

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