Fisco e contabilità

Investimenti locali, un altro -6%

Una quota importante della «scommessa sulla crescita» scritta nella Nota di aggiornamento al Def oggi all’esame dell’Ufficio parlamentare di bilancio poggia sulla ripresa degli investimenti pubblici. La strategia punta prima di tutto sulla priorità alla «rete di piccole opere diffuse» sul territorio, che in genere sono nella gestione degli enti locali. Ma i dati di questi mesi mostrano che non basta liberare risorse per veder ripartire gli investimenti degli enti locali. Motivo per cui diventa cruciale la riforma integrale del pareggio di bilancio che la manovra ha in cantiere per sindaci e presidenti di Provincia e Regione. Ma andiamo con ordine, perché i fili da riannodare sono parecchi.
La moria degli investimenti pubblici locali (-46% fra 2008 e 2018) è alla base della caduta libera della spesa pubblica in conto capitale, che quest’anno si ridurrà all’1,9% del Pil e che il governo vuole riportare dalle parti del 3 per cento. Dagli enti locali passa infatti larga parte degli investimenti della Pa, e per questa ragione gli ultimi governi hanno provato in molti modi a rianimarla. Senza successo.

I conti sulle risorse
La manovra dell’anno scorso ha allargato fino a 900 milioni per quest’anno e altrettanti per il prossimo la quota di risorse comunali “liberate” dai calcoli del pareggio di bilancio. Altri 500 milioni all’anno sono andati alle Regioni. Ma i numeri dei pagamenti effettivi, monitorati dal ministero dell’Economia, mostrano che la doppia mossa non ha avuto effetto. Anzi. I primi nove mesi del 2018 indicano che i Comuni, da cui passa l’80% degli investimenti locali, hanno segnato un meno 7% rispetto all’anno scorso, Province e Città metropolitane hanno seguito la stessa traiettoria e solo la mini-ripresa della Regioni permette di fermare il dato medio vicino a una flessione del 6% (-5,8%). Il tutto rispetto a un 2017 che sul punto già era stato quaresimale.
Parte da qui una manovra che promette di cambiare del tutto le regole del pareggio di bilancio per gli enti locali. Il problema da risolvere è quello degli «avanzi», che si generano quando un’amministrazione locale chiude l’anno con un saldo positivo. L’anno dopo questi «risparmi» non entrano nei calcoli del pareggio, per cui il loro utilizzo è di fatto impossibile senza peggiorare i saldi che contano per il rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Dopo gli interventi parziali degli ultimi anni, la Consulta ha bocciato la regola e la manovra punta a liberare del tutto questi fondi chiedendo ai Comuni e agli altri enti di chiudere in pareggio i bilanci «tutto compreso». Calcolandoli sia nelle entrate sia nelle spese, il loro utilizzo non peggiora i saldi.
La partita è potenzialmente enorme, perché sempre l’Upb calcola che nei conti locali ci siano «avanzi» per 16,2 miliardi (10,8 nelle le regioni e 5,3 negli enti locali, di cui 3,7 nei soli Comuni).
Ma attenzione. Per spenderli servono progetti e gare d’appalto, per cui le serie storiche mostrano che nel primo anno se ne potrà utilizzare circa il 10%. A meno che la cabina di regia nazionale che il Mef vuole creare per compensare i deficit progettuali degli enti sia in grado di far accelerare i ritmi già dal prossimo anno.

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