Fisco e contabilità

Società partecipate, al recesso servono correttivi più che proroghe su misura

di Stefano Pozzoli

La manovra 2019 proroga fino al 2021 i termini previsti per liquidare le quote della società partecipata - tramite la procedura di recesso prevista dall'articolo 24, comma 5 del Testo unico - quando abbia chiuso con un utile medio i bilanci dell'ultimo triennio (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 30 ottobre).
L'articolo 51 della legge di bilancio, infatti, interviene introducendo un comma 5-bis all'articolo 24, offrendo così una parziale soluzione ad alcuni dei problemi sollevati dalla nota interpretativa congiunta Anci e Utilitalia sui tempi e sugli effetti del recesso previsto dal comma 5 dell'articolo 24. Norma in base alla quale, ricordiamo, se entro 12 mesi dall'approvazione del piano di revisione straordinaria non si sia proceduto alla alienazione delle partecipazione «il socio pubblico non può esercitare i diritti sociali nei confronti della società e, salvo in ogni caso il potere di alienare la partecipazione, la medesima è liquidata in denaro in base ai criteri stabiliti all'articolo 2437-ter, secondo comma, e seguendo il procedimento di cui all'articolo 2437-quater del codice civile».

L’eccezione
Il nuovo comma 5-bis stabilisce che le disposizioni dei commi 4 e 5 «non si applicano nel caso in cui le società partecipate abbiano prodotto un risultato medio in utile nel triennio precedente alla ricognizione» e che quindi «l'amministrazione pubblica, che detiene le partecipazioni, è conseguentemente autorizzata a non procedere all'alienazione».
Curiosamente, in tal caso, l'obbligo di alienazione non si applica fino al 31 dicembre 2021, congelando perciò gli effetti della decisione assunta, ma quasi non rendendola reversibile. Si lascia perciò intuire che tale deroga sia immaginata proprio per le società «vietate» in base all'articolo 4, le sole per le quali sia di fatto impossibile da parte della pubblica amministrazione «cambiare idea» sulla dismissione o procedere in qualche modo a una razionalizzazione. Anche per questo, probabilmente e opportunamente, non si è voluto estendere il beneficio alla razionalizzazione ordinaria (articolo 20), ma è stata presa in considerazione solo una proroga degli effetti di quanto già deciso a suo tempo nella revisione straordinaria. Confermando quindi, nonostante la proroga, l'impianto generale della disciplina.

Considerazioni
Va notato che la norma, così formulata, se consente a chi per qualche ragione oggi non vuole più cedere la propria partecipazione, penalizza però gli enti che, più coerentemente con le proprie decisioni di piano, avrebbero invece voluto monetizzare la cessione delle loro quote tramite il meccanismo di recesso.
In sostanza, il rinvio al 31 dicembre 2021, punisce proprio quelli che vogliono vendere società sane, che sono state mediamente in utile nel triennio precedente alla ricognizione. Per altro l’esclusione delle società in perdita è paradossale, perché proprio in questi casi ci può essere bisogno di più tempo per concludere una profittevole liquidazione della quota.
Sarebbe opportuno, in sede di approvazione definitiva della norma, attribuire alle pubbliche amministrazioni la scelta di andare avanti o meno con la procedura di recesso, con propria delibera motivata, e di estenderla a tutte le società partecipate senza limitarne gli effetti alle aziende con risultato economico medio positivo.

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