Fisco e contabilità

Rendiconto, la diffida del prefetto non accorcia i termini per il deposito dei documenti

di Aldo Milone

L'inosservanza del termine dilatorio minimo di venti giorni, fra il momento in cui sono messi a disposizione gli atti relativi al bilancio consuntivo e la data della seduta consiliare fissata per la sua approvazione, preclude la libera e consapevole deliberazione dei consiglieri comunali in merito all'approvazione del rendiconto e incide illegittimamente sull'esercizio delle funzioni relative all'incarico rivestito, inficiando la validità della delibera assembleare.
Il termine per il deposito della documentazione – che trova fonte giuridica primaria nell'articolo 227, comma 2, del Tuel e disciplina applicativa nel regolamento di contabilità dell'ente – non è comprimibile, neanche quando sia intervenuta una diffida prefettizia ad approvare il conto consuntivo.
È questo il principio di diritto affermato dal Tar della Campania (sezione Salerno, II) nelle sentenze n. 1511 e 1546 del 2018, con le quali si assiste a un vero e proprio revirement rispetto all'orientamento espresso dallo stesso giudice campano nella precedente sentenza n. 5583/2018, sezione Napoli, I (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 28 settembre).

La finalità della norma
L’articolo 227 del Tuel attribuisce ai consiglieri un congruo margine di tempo per analizzare un documento contabile complesso, di impatto nella gestione finanziaria e di importanza nella vita politica dell'ente. Cosicché, l’irriducibilità del termine risponde all'inalienabile esigenza di esprimere valutazioni a ragion veduta, attraverso una compiuta disamina preliminare di tutti gli atti rilevanti.

Irrilevanza della diffida prefettizia
Ritornando sui suoi passi, il collegio campano esclude che la sussistenza della diffida prefettizia ad approvare il rendiconto integri una situazione (non imputabile all'ente) di eccezionale urgenza giustificativa della compressione del termine di legge per il deposito degli atti, per due ordini di ragioni.
In primo luogo, l'irrilevanza della diffida discende dal fatto che la situazione di inadempienza – che è il presupposto stesso della diffida – scaturisce dalla condotta (evidentemente) inerte degli organi dell'ente, il quale di tale comportamento non può quindi avvantaggiarsi per abbreviare i termini di legge posti a garanzia del munus di consigliere comunale. Pena l'evidente dispregio del principio di autoresponsabilità, ossia di quel fondamentale caposaldo del nostro ordinamento in ragione del quale nessun può far valere come esimente o scusante una situazione contra legem o di inadempienza determinata dalla propria azione.
Secondariamente, si sottolinea che il termine intimato dal prefetto, entro cui approvare il bilancio consuntivo, non è perentorio, non determinando pertanto – ove non rispettato – lo scioglimento automatico dell'organo consiliare. Alla luce della consolidata giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sentenza n. 826/2007), l'apertura del procedimento prefettizio, caratterizzato dall'assegnazione di un ulteriore termine acceleratorio, può anche condurre all'adozione della grave misura dello scioglimento, ma solo a seguito della constatata inadempienza all'intimazione puntuale e ultimativa dell'autorità prefettizia, che attesti l'impossibilità o la riottosità del consiglio a procedere all'approvazione del documento contabile anche oltre il termine assegnato.

Prevalenza del regolamento di contabilità
Da ultimo, come precisato nella sentenza n. 1511, ai sensi della fonte primaria nel Tuel, la normativa secondaria che disciplina le modalità di approvazione del conto consuntivo, trova sede propria nel regolamento di contabilità. In virtù del principio di specialità, difatti, è a queste disposizioni regolamentari contabili che occorre riferirsi per la risoluzione di eventuali antinomie (con le norme contenute nello Statuto o nel regolamento del consiglio) che possano insorgere fra diverse prescrizioni secondarie, tutte astrattamente applicabili.

La sentenza del Tar Campania n. 1511/2018

La sentenza del Tar Campania n. 1546/2018

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