Fisco e contabilità

Aumento del 10% sul compenso dei revisori se il consiglio comunale lo ha ridotto per legge

di Vincenzo Giannotti

Piena libertà all'ente di aumentare del 10% i compensi ai revisori dei conti se nella delibera di nomina il taglio era stato effettuato esclusivamente in base alle disposizioni imposte dal decreto legge 78/2010 e non frutto di una valutazione del consiglio. Sono le indicazioni della Corte dei conti della Toscana (delibera n. 76/2018).

Le nuove disposizioni di legge
La legge di bilancio 2018 non ha prorogato la riduzione dei compensi agli organi collegiali, precedentemente disposta dall'articolo 6, comma 3, del Dl 78/2010 lasciando la scelta al consiglio comunale di corrispondere i compensi ai revisori dei conti senza più la necessità imposta del taglio del 10% rispetto agli importi risultanti alla data del 30 aprile 2010.
Il problema che è stato posto dal sindaco di un Comune riguarda non tanto gli importi che sono stati stabiliti per le nomine successive al 1° gennaio 2018, non essendo più operante la riduzione imposta dal legislatore, quanto la possibilità di poter procedere in corso di incarico al ripristino del valore senza più considerare la riduzione, anche in considerazione del vincolo imposto dall'articolo 241, comma 7, del Tuel secondo cui l'ente locale stabilisce il compenso spettante ai revisori con la stessa delibera di nomina.
In ogni caso il rapporto tra ente locale e revisori dei conti è di natura convenzionale con la conseguenza che l'assetto di interessi tra le parti risulta disciplinato dalle norme del codice civile e dalla volontà delle parti medesime.

Le indicazioni del collegio contabile
Per i giudici contabili toscani, in considerazione degli interessi delle parti, la possibilità di ripristinare in aumento la riduzione disposta dal legislatore, in costanza del rapporto delle parti, deve tenere conto di due possibili aspetti della deliberazione di conferimento degli incarichi e, in particolare, se la riduzione sia stata disposta per volontà del consiglio o se derivava dal solo rispetto delle disposizioni della legge.
In altri termini, spetta al consiglio comunale, in piena autonomia, deliberare anche compensi inferiori rispetto a quelli indicati nel decreto del 2005, il quale fissa gli importi massimi che l'ente può riconoscere ai propri revisori. La stessa Sezione delle Autonomie ha avuto modo di precisare come «… risulta palese che il legislatore non ha inteso stabilire un tetto minimo al compenso dei revisori, privilegiando, da un lato, l'interesse dell'ente ad una prestazione qualificata, garantita dalle modalità di scelta del revisore e, dall'altro, quello al contenimento della spesa pubblica mediante limiti massimi al corrispettivo; viceversa, l'interesse dei revisori ad evitare vulnus alla propria professionalità - derivanti da remunerazioni troppo contenute - e a scongiurare effetti distorsivi nonché potenziali disparità di trattamento, trova tutela nelle richiamate norme di carattere generale che stabiliscono criteri e principi di adeguatezza applicabili alla fattispecie in esame ed a cui l'ente deve attenersi» (deliberazione n. 16/2017).
Se, invece, il consiglio comunale ha deliberato la riduzione esclusivamente per gli obblighi discendenti dalle disposizioni di legge, nulla vieta che, in una sua successiva rivalutazione degli interessi, l'amministrazione possa adeguare i compensi ripristinandoli senza la riduzione imposta dalla legge. Così se nella delibera di affidamento dell'incarico il consiglio comunale ha fissato il compenso massimo previsto dal Dm del 2005 per la fascia demografica del proprio Comune, alla quale è stata successivamente applicata la decurtazione ex lege del 10%, l'ente può a partire dal 1° gennaio 2018 ripristinare il valore senza la decurtazione.

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