Fisco e contabilità

Imposta pubblicità, conferma degli aumenti per il 2019 e rimborso in 5 anni

di Pasquale Mirto

Risolto uno dei problemi che assillano i bilanci comunali 2019. Con un emendamento al disegno di legge di stabilità, viene rispristinata la possibilità per i Comuni di aumentare, a decorrere dal 1° gennaio 2019, fino a un massimo del 50%, le tariffe e i diritti della pubblicità. L'emendamento ricalca integralmente quanto proposto da Anci.

Gli aumenti delle tariffe
La questione nasce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 15/2018 che ha dichiarato l'illegittimità delle maggiorazioni fino al 50% sull'imposta di pubblicità deliberate, anche tacitamente, dai Comuni a partire dal 2013, benché difatti sia stata confermata la legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 739 della legge 208/2015 che aveva la funzione di salvaguardare proprio le delibere dei Comuni che avevano già deliberato la maggiorazione.
Il problema nasce da un cortocircuito normativo. Per comprendere la vicenda occorre ricordare che le tariffe base relative all'imposta di pubblicità sono stabilite dal Dlgs 507/1993, aggiornate da un Dpcm del 2001, e sono determinate in base alla classe demografica dei Comuni. A decorrere dal 1° gennaio 1998 è stata data la possibilità ai Comuni di aumentare le tariffe base, fino a un massimo del 20% (articolo 11 del Dlgs 449/1997) e successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2000, era possibile disporre aumenti fino a un massimo del 50%. L'articolo 23 del Dl 83/2012, entrato in vigore il 26 giugno 2012, ha disposto l'abrogazione di una lunga lista di disposizioni normative, tra le quali è stato incluso anche l'articolo 11 del Dlgs 449/1997.
Da qui è nata subito una querelle giurisprudenziale che avrebbe dovuto essere risolta dal comma 739 della legge 208/2015, il quale, autoqualificatosi come norma di interpretazione autentica, precisa che «l'abrogazione non ha effetto per i Comuni che si erano già avvalsi» della facoltà di aumento. La ratio era quella di fotografare la situazione al 2012, congelando le tariffe allora vigenti, anche per il futuro, al pari di quello che avviene con le disposizioni di blocco delle aliquote. La Corte costituzionale però ha fornito una sua “ratio”, individuata nell'esigenza di confermare per l'anno 2012 le delibere di aumento approvate entro la data di entrata in vigore del Dl 83/2012, ovvero entro il 26 giugno 2012. Conseguentemente tutte le maggiorazioni approvate dal 2013 in poi, anche attraverso il meccanismo della conferma tacita, sono state ritenute illegittime.

I rimborsi
La sentenza della Corte Costituzionale ha quindi generato due criticità, una relativa alle tariffe da applicare per il 2019 e l'altra relativa ai rimborsi da effettuare, peraltro neanche ai cittadini, ma prevalentemente a quelle società concessionarie che hanno venduto gli spazi pubblicitari dal 2013 al 2018, e che quindi in realtà non hanno subito alcun danno economico. Si tratta di rimborsi importanti, stimati da Anci in 400/500 milioni di euro.
Anche sul fronte dei rimborsi viene accolta integralmente la proposta di Anci. L'emendamento prevede, in deroga alle vigenti disposizioni regolamentari comunali, che i Comuni possano effettuare i rimborsi di quanto preteso in più per gli anni dal 2013 al 2018 in forma rateale entro un massimo di cinque anni dal momento in cui la richiesta del contribuente è diventata definitiva.

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