Fisco e contabilità

Speciale manovra/3 - Imposta sulla pubblicità, aumenti con limiti e dubbi sui rimborsi

di Antonio Chiarello e Giuseppe Debenedetto

I Comuni dovranno rimborsare in cinque anni la maggiorazione dell'imposta comunale sulla pubblicità pagata dal 2013 al 2018 e sarà comunque possibile ripristinare gli aumenti del tributo a partire dal 2019. Lo prevede il testo della legge di bilancio 2019, approvata in prima lettura dalla Camera e ora all'esame del Senato, con l'obiettivo di risolvere l'annosa questione sorta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 15/2018 che ha praticamente ritenuto illegittimi gli aumenti dell'imposta sulla pubblicità deliberati dai Comuni, anche tacitamente, dal 2013 in poi.

Le ambiguità della norma
Ma la questione rischia di complicarsi ulteriormente perché la formulazione della norma presenta alcune ambiguità. Risulta, infatti, equivoco il riferimento alla «data in cui la richiesta è diventata definitiva» al fine di identificare la data iniziale per la decorrenza del termine quinquennale, atteso che la domanda di restituzione deve essere si presentata entro il termine di decadenza di cinque anni dal pagamento, ma la richiesta non è soggetta a diventare “definitiva”. Probabilmente il legislatore intendeva riferirsi alla data di emissione del provvedimento amministrativo di accoglimento della domanda dell'ente locale, il quale non sarà più tenuto al rispetto dei 180 giorni per l'adempimento restitutorio previsto dal comma164 della legge 296/2006. Ma che accade se il titolo del rimborso trovasse fonte, invece, in una sentenza della Commissione tributaria, adita per la contestazione del rifiuto espresso o tacito all'istanza di rimborso? Giova rammentare che in base all'articolo 69 del Dlgs 546/1992 le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente sono immediatamente esecutive e che il pagamento deve essere effettuato entro 90 giorni dalla notifica della sentenza. Per cui il rimborso deve essere disposto anche in difetto di “definitività” della sentenza. Se, quindi, il concetto di «richiesta diventata definitiva» deve intendersi riferito anche alle sentenze di condanna al rimborso, si è dell'avviso che tale ambito deve essere chiaramente espresso nel testo della norma, altrimenti la deroga «alle norme vigenti», unitamente al concetto di «richiesta definitiva», potrà determinare uno strumentale utilizzo del processo non già per addivenire alla soluzione della controversia ma per dilatare ulteriormente i tempi del rimborso ritenendosi, nel caso di giudizio, che per «richiesta definitiva» si debba intendere la sentenza passata in giudicato e non anche quella emessa in corso di processo. Per altro verso, l'equivocità del riferimento alla “richiesta definitiva” del testo attuale, se è alquanto indubbio che sia applicabile alle soluzioni amministrative, per quelle giudiziali invece rimangono applicabili le regole previste dal contenzioso tributario, perché la fonte legittimante del rimborso è data dalla sentenza e non già dalla richiesta.

Gli aumenti dell'Icp
Altra questione critica che emerge dalla norma riguarda la possibilità per i Comuni di ripristinare gli aumenti dell'Icp dal 2019 ma solo per le superfici superiori al metro quadrato, lasciando quindi fuori tutti i manifesti 70x100 e gran parte degli impianti pubblicitari. Insomma, i Comuni sono costretti a digerire una soluzione normativa che, oltre ad essere sfornita di contributo compensativo, di fatto riconosce per il quinquennio 2013-2018 l'applicazione delle tariffe di vent'anni fa. Soluzione già di per se poco accettabile a cui si aggiungono i dubbi e le limitazioni sopra descritte, che vanno necessariamente corrette in sede di approvazione definitiva della legge di bilancio 2019.

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