Fisco e contabilità

Danno erariale per chi non riversa i compensi extra non autorizzati

di Carmelo Battaglia e Domenico D'Agostino

Con la sentenza n. 53/2019, la Sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna della Corte dei conti ha confermato che, in caso di svolgimento di attività extra-istituzionale non previamente autorizzata, l’omesso versamento di quanto indebitamente percepito, da parte del dipendente pubblico, costituisce ipotesi di responsabilità erariale, soggetta alla giurisdizione dei giudici contabili.
Il caso in esame riguarda la denuncia di un Dirigente dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia Romagna nei confronti di una dipendente di ruolo di un Liceo scientifico, con funzioni di assistente amministrativa, per aver svolto – in costanza di rapporto di lavoro dipendente a tempo pieno e in assenza delle prescritte autorizzazioni da parte dell’Amministrazione di appartenenza – prestazioni professionali extra-istituzionali. Infatti, le verifiche svolte dall’Ispettorato della Funzione Pubblica e dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza avevano accertato che la stessa, per circa otto anni, aveva svolto diversi incarichi professionali di amministrazione condominiale e gestione immobiliare, per i quali aveva percepito compensi per l’importo totale di € 175.741,31. L’Ufficio Scolastico Regionale aveva sollecitato la lavoratrice a regolarizzare la propria posizione, mediante riversamento all’Amministrazione degli emolumenti percepiti per l’attività non autorizzata, con due diffide che non avevano sortito effetto. Pertanto, la Procura regionale della Corte dei conti ha citato la lavoratrice, contestandole la violazione dell’art. 53, comma 7, Dlgs 165/2001 (Tupi), il quale stabilisce il divieto, per i dipendenti pubblici, di svolgere attività retribuite non previamente autorizzate – e prevede, in caso di inosservanza della disposizione, l’obbligo di riversamento del compenso a favore dell’Amministrazione di appartenenza, per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti – e del successivo comma 7-bis, introdotto dalla Legge 190/2012, che ha configurato l’omesso riversamento quale ipotesi di responsabilità erariale tipica, rimessa alla giurisdizione della Corte dei conti. Inoltre, la Procura regionale ha evidenziato come l’attività svolta dalla lavoratrice, mai comunicata e tantomeno autorizzata, abbia rivestito carattere professionale abituale, confermato dal possesso della partita Iva, in violazione, quindi, del dovere di esclusività che caratterizza il rapporto di pubblico impiego a tempo pieno.
La convenuta ha eccepito il difetto di giurisdizione della Corte dei conti a favore del Giudice ordinario, secondo alcuni precedenti delle Sezioni Unite della Cassazione, e ha chiesto il rigetto della domanda attorea per mancanza del requisito soggettivo del dolo o della colpa grave, poiché ignorava la necessità di una autorizzazione preventiva e aveva svolto i propri incarichi extra-istituzionali in buona fede e al di fuori dell’orario di lavoro, oltre che in assenza di qualsivoglia regolamentazione da parte dell’Ufficio scolastico provinciale.
Entrando nel merito, la Sezione ha, preliminarmente, scrutinato l’eccezione relativa al difetto di giurisdizione ed ha confermato il proprio convincimento, già espresso con precedente sentenza n. 125/2018, secondo il quale il comma 7-bis, Dlgs 165/2001 è una norma di natura non innovativa, ma meramente ricognitiva di un indirizzo giurisprudenziale prevalente, tendente ad attribuire alla magistratura contabile la giurisdizione in materia e ad escludere quella del giudice ordinario. La stessa Corte di Cassazione ha affermato che lo svolgimento di incarichi non autorizzati, da parte di un dipendente pubblico, incide sull’esercizio delle sue mansioni e, oltre ad essere valutabile in sede disciplinare, è anche fonte di responsabilità erariale, soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, se il dipendente non riversa i relativi compensi all’Amministrazione di appartenenza. Ed è irrilevante che i fatti siano anteriori all’entrata in vigore del citato comma 7-bis, poiché questo è stato aggiunto solo per confermare la sussistenza della giurisdizione contabile (Cass., Sez. Lavoro, n. 25975/2017). Orientamento questo condiviso anche dalla Prima Sezione Centrale di Appello della stessa Corte, la quale, con la sentenza n. 97/2018, ha affermato che la modifica legislativa “..deve, conclusivamente, essere ritenuta meramente ricognitiva di un disposto normativo già affermato” (cfr. anche Sez. II App., 26.10.2016 n. 1098). La Sezione ha, poi, ricordato che il rapporto di lavoro pubblico è caratterizzato dal principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore di lavoro pubblico (art. 98 Cost.), in quanto lo svolgimento di attività lavorative supplementari può incidere “..negativamente sulle prestazioni lavorative rese presso la struttura pubblica nei cui confronti l’interessato ha l’obbligo di dedicarsi completamente”(Corte dei Conti, Sez. giur. Marche, n. 108 e 109/2012). Vige, pertanto, un regime di generale incompatibilità, in base al quale è, tendenzialmente, preclusa la possibilità di svolgere attività extra-lavorative e spetta all’Amministrazione di appartenenza il previo controllo sulla possibilità d’impegnarsi in un’ulteriore attività senza pregiudizio dei compiti d’istituto (Cass., S.U., n. 22688/2011 e n. 25769/2015). Nel caso di specie, è pacifico che la convenuta abbia esercitato attività extra-lavorative senza mai darne comunicazione all’Ente e senza richiedere alcuna autorizzazione, integrando, sul piano oggettivo, una condotta antigiuridica. Altresì, sul piano soggettivo, la Sezione ha ritenuto la lavoratrice pienamente consapevole, alla luce dei numerosi anni di servizio, della circostanza che lo svolgimento di prestazioni continuative non autorizzate rappresentasse una palese violazione della disciplina sulle incompatibilità relative al rapporto di pubblico impiego. Pertanto, ha qualificato la condotta come dolosa, quantomeno sotto il profilo del dolo contrattuale, in virtù del chiaro dettato normativo, richiamato anche dall’art. 92 del Codice disciplinare del personale dell’amministrazione scolastica e dal relativo Ccnl del 27/11/2007. In ultimo, ai sensi dell’art. 53, commi 7 e 7-bis, del Tupi, ha quantificato il danno erariale nel compenso percepito per le prestazioni incompatibili, condannando la lavoratrice a riversare detto importo a favore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.

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