Fisco e contabilità

Incarico a sé stessi, è danno erariale

di Katia Sirizzotti

L’amministratore delegato di una società partecipata è un dipendente pubblico. L’articolo 53, comma 7, del Dlgs 165/2001 stabilisce che egli non può affidare a sè stesso un incarico retribuito di consulenza in favore della società, senza la preventiva autorizzazione del consiglio di amministrazione.
Occorre anche che egli si astenga dal partecipare alla riunione che deliberi detta autorizzazione, evidenziando la propria condizione di conflitto di interesse (cd disclosure) e che le attività oggetto di incarico non siano già comprese in quelle dovute in forza della carica sociale ricoperta.
In mancanza si configura danno erariale.

Il fatto
L’amministratore delegato di una società partecipata ha affidato a sé stesso un incarico professionale retribuito per svolgere attività che rientravano nei compiti già assegnati. Ha omesso di richiedere l’autorizzazione del consiglio di amministrazione, ritardato nell’informarlo dell’atto e, comunque, non ha dato contezza del corrispettivo stabilito.
L’omissione di quest’ultimo aspetto non ha permesso al Consiglio di Amministrazione di ponderare adeguatamente la situazione di conflitto di interessi che si era venuta a creare nè la debenza e congruità dei corrispettivi autodeterminati. Pertanto, l’autorizzazione postuma non può ritenersi sanante.

La pronuncia
La Corte del Conti, Sezione Giurisdizionale Lazio, con la sentenza n. 503/2019, ha ritenuto sussistere danno erariale sulla base di diverse considerazioni.
E’ applicabile per analogia l’articolo 2391 del Cc dettato in tema di conflitto d’interessi per le società per azioni,  secondo cui: “L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale…”.
Ha anche ritenuto che, nel caso di specie, tra i compiti dell’Ad (nonché del direttore generale) della società partecipata rientrassero le prestazioni oggetto di successivo autoincarico, dando luogo alla duplicazione dei costi sostenuti dalla società, in violazione del principio di omnicomprensività della retribuzione.
Considerata la disciplina di cui all’articolo 7, Dlgs 165/2001 relativa agli incarichi a dipendenti pubblici (cui deve assimilarsi il dipendente di una società partecipata) ha rilevato la mancata richiesta di preventiva autorizzazione al Cda.
Ma, in particolare, ha stigmatizzato l’omissione circa l’onerosità dell’incarico, finalizzata, secondo il giudice contabile, all’occultamento doloso del fatto, circostanza che ha inciso sul dies a quo di decorrenza della prescrizione, slittato al momento della “scoperta” nella sua interezza. E’ noto che la prescrizione quinquennale, per il caso di occultamento doloso, decorre solo dal momento della scoperta (ex art. 1, comma 2, legge 20/1994), avvenuta, nel caso in esame, cinque anni dopo, ad opera del nuovo Ad sulla scorta della relazione dei revisori. 

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