Fisco e contabilità

Enti locali a rischio default dopo la bocciatura delle anticipazioni di liquidità per finanziare la svalutazione dei crediti nel rendiconto di gestione

di Antonio Infantino (*) - Rubrica a cura di Anutel

Non c'è pace tra gli ulivi. Anche quest'anno gli enti locali dovranno fare i conti con le decisioni dei giudici di palazzo della Consulta prima di approvare bilanci e rendiconti. Questa volta tocca ai Comuni, alle Province e alle Citta Metropolitane, alcuni dei quali già in pre-dissesto, che hanno utilizzato negli anni scorsi il fondo anticipazioni di liquidità per finanziare il fondo crediti di dubbia esigibilità. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 4/2020, depositata il 28 gennaio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 6, del Dl 78/2015 e dell'articolo 1, comma 814, della legge 205/2017. Questa bocciatura delle norme che consentivano agli enti di ripianare i loro disavanzi attraverso il Fal ha, di fatto, riportato l'orologio indietro di cinque anni.

La vicenda e la decisione della Corte Costituzionale
Tutto nasce a seguito del ricorso del Comune di Napoli avverso una delibera della sezione di controllo campana (n. 107/2018) che aveva assunto misure interdittive nei confronti dell'ente. Le sezioni riunite della Corte dei conti, in composizione speciale e in sede giurisdizionale, alle quali era stata rimessa la decisione, hanno però sollevato, in via incidentale, la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni in parola, rilevando la violazione di diversi precetti costituzionali.
Secondo i giudici contabili rimettenti la norma avrebbe consentito una riduzione fittizia del disavanzo, eliminando la sterilizzazione del Fal nel consuntivo, con un aumento della capacità di spesa e un miglioramento surrettizio del risultato di amministrazione. La Consulta ha confermato i dubbi e ha rilevato come l'anomala utilizzazione del Fal lede l'equilibrio di bilancio e i principi della sana gestione finanziaria, violando la golden rule contenuta nell'articolo 119, comma 6, della Costituzione. L'anticipazione di liquidità, infatti, è una forma di indebitamento straordinario che soggiace al rispetto di tre parametri fondamentali: il collegamento a una sofferenza di cassa, il rigoroso rispetto del bilanciamento degli interessi definiti in sede costituzionale ed europea e la sua inidoneità a essere un rimedio contingente a risanare bilanci strutturalmente in perdita.
La modalità utilizzata dal legislatore, secondo la Corte, genera un'influenza negativa sugli equilibri di bilancio consentendo di coprire i disavanzi con risorse nominali e non reali, vanificando la possibilità di stimare gli accantonamenti secondo i principi della prudenza. Le anticipazioni, infatti, proseguono i giudici Costituzionali, sono utilizzabili in senso costituzionalmente conforme solo per pagare passività pregresse già iscritte in bilancio. Da qui il divieto di utilizzare il Fal per modificare il risultato di amministrazione e per assicurare nuove forme di copertura giuridica alla spesa.

Le conseguenze e i rimedi
La palla ritorna adesso agli enti locali interessati (tanti) che dovranno necessariamente adottare le misure correttive sia in sede di bilancio che di rendiconto per evitare da una parte l'applicazione delle regole della gestione provvisoria e dall'altro scongiurare disastrose ipotesi di default dei propri conti in sede di consuntivo 2019. Un primo rimedio l'ha trovato la stessa Corte Costituzionale chiarendo che non è necessario riapprovare i bilanci antecedenti alla data della pronuncia (ossia i rendiconti 2018 e precedenti). Il rimedio vero e proprio, invece, secondo la Consulta, dovrà passare dalle strette maglie della rideterminazione dei disavanzi, attraverso una ricostruzione dei risultati di amministrazione anno per anno, secondo le regole all'epoca vigenti.
Ciò significa, almeno da una prima lettura della sentenza, che se il Fal è stato utilizzato in sede di riaccertamento straordinario dei residui nel 2015 si potrà rideterminare l'extra-deficit includendo lo stesso fondo nelle quote accantonate in modo da poter beneficiare del riparto trentennale all'epoca in vigore. I disavanzi degli anni successivi, inclusi quelli del rendiconto 2015, dovranno essere ripianati, invece, secondo le regole del testo unico.
I risultati così ricalcolati determineranno sicuramente un maggior disavanzo che confluirà nel rendiconto 2019 e dovrà essere riassorbito ai sensi dell'articolo 188 del Tuel, ossia mediante un piano di rientro triennale. Fin qui tutto sembra filare liscio e anche la soluzione trovata dalla Corte sembra essere risolutiva di una serie di vicende che hanno interessato le norme cassate, segnate da pareri spesso contrastanti delle sezioni di controllo della Corte dei conti, che sono state vissute come un escamotage per risolvere in modo quasi indolore i deficit strutturali di molti enti locali che, a dire il vero, hanno l'unico torto di aver applicato una norma dello Stato in un momento di particolare difficoltà della finanza locale e in quadro giuridico che non ha brillato e non brilla tutt'ora per chiarezza e stabilità.
La strada tracciata dalla Corte Costituzionale sembra al momento difficilmente attuabile, in quanto il peso del Fal non accantonato difficilmente potrà essere recuperato in soli tre anni, aprendo di fatto le porte al riequilibrio finanziario pluriennale o addirittura al dissesto. Ipotesi, quest'ultima, che rischia di materializzarsi per gli enti locali già in pre-dissesto che hanno i piani approvati o, peggio, ancora in corso di istruttoria. Se è pur vero che una soluzione indolore non esiste, almeno nell'immediato, si potrebbe prendere spunto dal monito che gli stessi giudici Costituzionali hanno scritto a chiare lettere nella loro decisione: vale a dire che il sistema perequativo dei trasferimenti statali non solo non funziona ma non è stato nemmeno concretamente attuato dal legislatore nazionale, facendo rimanere lettera morta la legge delega 42/2009.
Si potrebbe ipotizzare un mix di interventi, alcuni dei quali in tempo utile per l'approvazione di bilanci e rendiconti, che vadano dalla revisione del sistema dei trasferimenti erariale (oggi completamente fiscalizzati e alimentati per i Comuni dalla stessa Imu di loro competenza, con tempi di modifica si immagina molto lunghi) per passare, a rimedi più rapidi, come una necessaria modifica dei principi contabili, dando la possibilità di iscrivere le quote accantonare in entrata del bilancio per finanziare le rate in conto capitale delle anticipazioni (come avviene per le regioni e non si capisce perché non debba avvenire anche per gli enti locali) fino ad arrivare a ipotesi di allungamento dei tempi di ripiano, agganciando questi maggiori disavanzi o ai tempi di restituzione dei debiti di liquidità o al periodo residuo del ripiano trentennale previsto per il passaggio alla contabilità armonizzata nel 2015.
Diversamente si dovranno gestire dissesti e pre-dissesti a catena preceduti da temporanei, quanto illusori, piani di rientro triennali. Gli effetti prodotti da questa decisione non sono oggi ancora conoscibili nella loro esatta manifestazione ma non serve un indovino per capire che i conti degli enti interessati sono fortemente a rischio, per di più in una fase di forte incertezza nella quale manca ancora un pezzo importante delle riforme preannunciate dal Governo come la riscrittura delle regole delle procedure di risanamento finanziario degli enti locali, contenute nel titolo VIII del testo unico.

(*) Dirigente di ente locale

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