Fisco e contabilità

Dl Anticrisi - Mutui, tutti i pro e i contro della rinegoziazione

di Daniela Ghiandoni e Elena Masini

I servizi finanziari sono in piena attività per la rinegoziazione dei mutui contratti con la Cassa depositi e prestiti. Il tempo per aderire alla proposta contenuta nella circolare n. 1300/2020 stringe (la scadenza è fissata al prossimo 27 maggio 2020) e occorre capire sulla base di quali elementi valutare la convenienza e l'opportunità/necessità dell'operazione (si ved anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 1° maggio).

In primis deve essere valutata la convenienza finanziaria. Non c'è dubbio che la rinegoziazione determini nella maggior parte dei casi un maggior onere per interessi passivi, determinato dall'allungamento della durata del prestito. Economicamente, quindi, essa produce un esborso complessivo superiore. Il legislatore tuttavia subordina la legittimità delle rinegoziazioni alla dimostrazione della convenienza finanziaria intesa come riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico del bilancio (articolo 41, comma 2, legge 448/2001). Nella circolare n. 1300/2020, la Cassa depositi e prestiti ha dichiarato di applicare il principio della invarianza finanziaria. In altri termini, il tasso di intesse del nuovo mutuo viene determinato proprio in funzione dell'obiettivo di garantire l'equivalenza dei flussi di cassa attualizzati.

Come si dimostra tale convenienza? Il calcolo viene effettuato assumendo, da un lato, tutte le rate di ammortamento del mutuo pre-rinegoziazione e, dall'altro, quelle post-rinegoziazione, applicando loro il fattore di sconto (attualizzazione) messo a disposizione dall'istituto e scaricabile direttamente dall'applicativo. Solamente se il valore attuale netto del nuovo piano di ammortamento risulterà inferiore a quello del vecchio piano si potrà attestare la convenienza finanziaria dell'operazione. Valutazione che, in ogni caso, deve riguardare l'intero pacchetto di mutui rinegoziati e non il singolo mutuo, con la conseguenza che, per qualche operazione, il calcolo potrà produrre una perdita, che potrà essere però compensata dai valori positivi dei restanti mutui.

Superato il primo scoglio, resta da valutare l'opportunità della rinegoziazione che, ovviamente, compete alle amministrazioni e non agli organi tecnici. La rinegoziazione di mutui determina, da un lato, il vantaggio immediato rappresentato dalla riduzione della spesa annuale per il rimborso delle rate, dall'altro un allungamento della durata media dell'indebitamento con l'aumento della spesa complessiva per interessi e un irrigidimento dei bilanci futuri. La scelta deve essere supportata da una valutazione finanziaria ed economica della complessiva situazione dell'ente, tenendo in considerazione i rischi sui futuri equilibri di bilancio della nuova operazione di indebitamento e dell'allungamento della durata del debito ben oltre la vita utile del bene. Rilevante è la possibilità di utilizzare, fino al 2023 compresi, i risparmi in linea capitale senza alcun vincolo di destinazione, per finanziare nuova spesa corrente come pure le minori entrate. Dal 2024, invece i risparmi di parte capitale dovranno finanziare investimenti.

Il tallone d'Achille degli enti locali, però, ora, è rappresentato dall'emergenza Covid-19 che sta determinando un forte calo delle entrate. Le pesanti ripercussioni sui bilanci inducono le amministrazioni a ricorrere a qualsiasi strumento pur di fornire un sostegno agli equilibri. L'operazione rappresenta quindi una delle maggiori opportunità per alleggerire la spesa corrente e liberare risorse, almeno per l'esercizio in corso. Qualora l'ente sia in grado di coprire queste perdite, ricorrendo in parte all'avanzo libero e in parte confidando nei contributi statali previsti dall'attuale manovra anticrisi, la scelta di rinegoziare potrà essere effettuata in situazione "neutra" e non obbligata dal contesto. In questo caso essa diventa una scelta di "valore", in bilico tra il disporre oggi di maggiori risorse per finanziare nuova spesa a discapito degli esercizi futuri oppure pagare i debiti contratti secondo logiche di sana gestione finanziaria e di equità intergenerazionale. In caso contrario, di fronte ad ingenti perdite di entrate correnti e all'impossibilità per l'ente di farvi fronte, la scelta potrebbe apparire quasi obbligata se non si vuole correre il rischio di chiudere in disavanzo la gestione 2020, in assenza di regole normative adeguate al contesto eccezionale che stiamo attraversando.

Non va infine trascurata l'analisi dell'attuale portafoglio mutui e delle nuove condizioni: dirimente nella scelta è l'attuale durata dei prestiti in ammortamento. Per quelli che scadono a breve (entro 10 anni), l'allungamento al 2043 della durata del rimborso determina, a fronte di pochi anni di riduzione della rata di rimborso, un notevole irrigidimento degli anni successivi. Al contrario, per i prestiti che hanno scadenze vicine al 2043 o addirittura successive, per i quali la rinegoziazione non determina variazioni significative sui bilanci futuri, la scelta potrebbe essere più semplice. A fronte di un alleggerimento del peso della rata nel 2020, negli esercizi successivi il 2023 l'esborso finanziario non sarebbe molto diverso dall'attuale e non verrebbero alterati gli equilibri tra generazioni che rappresentano uno degli aspetti più critici di tali operazioni.

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