Fisco e contabilità

Legittima la cancellazione dei residui attivi con il riaccertamento straordinario

di Daniela Ghiandoni e Elena Masini

É legittima la cancellazione dei residui disposta in occasione del riaccertamento straordinario dei residui e non piuttosto in sede di rendiconto 2014. E ciò sul presupposto che ciascun cambiamento normativo che introduca modifiche sostanziali di prassi e abitudini amministrative non può che prevedere anche delle misure straordinarie dirette a garantire il pieno raggiungimento dell'obiettivo che il legislatore si è prefissato. Non può che riassumersi così il contenuto dell'innovativa sentenza della Corte dei conti in Sezioni riunite in sede giurisdizionale n. 4/2020 che, annullando la delibera della sezione regionale Abruzzo, ha scritto la parola fine su un generale orientamento interpretativo che aveva censurato le operazioni di cancellazioni dei residui attivi disposte alla data del 1° gennaio 2015, data di avvio dell'armonizzazione. I responsabili finanziari dei vari enti plaudono a questa decisione che mette al riparo le soluzioni già adottate in un contesto normativo pieno di dubbi e incertezze.

Il riaccertamento straordinario dei residui
L'articolo 3, comma 7, del Dlgs 118/2011 aveva previsto l'operazione di riaccertamento straordinario da approvarsi contestualmente al rendiconto 2014, attraverso la quale si doveva disporre:
1) la cancellazione dei residui attivi e passivi, cui non corrispondessero obbligazioni perfezionate e scadute alla data del 1° gennaio 2015, indicando per ciascun residuo eliminato, gli esercizi nei quali lo stesso diventava esigibile;
2) la determinazione del fondo pluriennale vincolato da iscrivere in entrata del bilancio 2015, distintamente per la parte corrente e per la parte in conto capitale, per un importo pari alla differenza tra i residui attivi e passivi eliminati;
3) la rideterminazione del risultato di amministrazione al 1° gennaio 2015 e accantonamento di una quota del risultato di amministrazione rideterminato al 1° gennaio 2015 nel fondo crediti di dubbia esigibilità e altri fondi di accantonamento o spese fuuture;
4) l'eventuale spalmatura del disavanzo (lettera e) in 30 annualità.
Sul punto 4) si era giocata, sino a oggi, la partita del controllo, in quanto diverse sezioni regionali avevano sottratto al beneficio del ripiano trentennale i disavanzi che derivano da fatti indipendenti dal mutamento di regime contabile e, in particolare, dalla mancata cancellazione di residui attivi in sede di rendiconto 2014. Ciò in quanto il Dlgs 118/2011 non prevedeva per gli accertamenti specifiche modifiche di istituti precedenti (in questo senso anche Sezione Autonomie n. 31/2016), come accadde invece per gli atti di impegno. Di conseguenza - a detta delle sezioni regionali di controllo - non risultava possibile scontare il ripiano trentennale previsto dall'articolo 7, comma 16, del Dlgs 118/2011 e dal Dm 2 aprile 2015, bensì l'obbligo di ripiano del disavanzo 2014 (che si sarebbe prodotto se i residui attivi fossero stati cancellati in sede di rendiconto 2014) in via ordinaria. La partita non è di secondaria importanza dato che proprio in occasione del riaccertamento straordinario dei residui moltissimi enti hanno fatto pulizia di crediti ritenuti oramai difficilmente riscuotibili, usufruendo di una normativa di favore che consentiva il ripiano del disavanzo in 30 anni.

La decisione dei giudici
A diversa conclusione sono giunte le Sezioni riunite in sede giurisdizionale con la sentenza n. 4/2020 , per la prima volta chiamate a pronunciarsi sulla questione. L'eccezionalità del passaggio dalla vecchia alla nuova disciplina (punto di partenza della nuova programmazione e gestione delle entrate secondo il principio di competenza potenziata) giustifica il ripiano sul lungo periodo. Secondo i giudici, infatti, la volonta espressa dal legislatore era quella di evitare condizioni eccessivamente afflittive per i cittadini, in ossequio al principio di salvaguardia della continuità dei servizi di rilevanza sociale (come anche affermato dalla Corte costituzionale nn. 10 e 217 del 2016). E ciò anche in considerazione del fatto che molti enti, nel 2014, avevano riaccertato le proprie partite contabili alla stregua dei rendiconti precedenti (peraltro non oggetto di rilievi di illegittimità). Non da ultimo ha pesato sulla decisione la distanza temporale di effettuazione dei controlli rispetto alla data di adozione degli atti. Distanza che ha il difetto di non considerare le attuali situazioni finanziarie degli enti (che nel frattempo potrebbero essersi addirittura aggravate e per le quali occorre intervenire) e di appesantire troppo i bilanci degli enti pregiudicando l'assolvimento delle relative funzioni. Un indiretto richiamo alla necessità di adottare controlli sempre più «concomitanti» alle gestioni degli enti, basati sulla vigente normativa e sull'evoluzione della gestione nel frattempo intervenuta, utili a garantire la piena legittimità dei bilanci degli enti locali

La sentenza della Corte dei conti a Sezioni riunite n. 4/2020

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