Fisco e contabilità

Il derivato non va bene senza mark to market

di Luciano Cimbolini

Con la sentenza n. 8770/2020, la Corte di cassazione ha affermato principi fondamentali in materia di contratti derivati degli enti locali (si vedano anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 13 e del 14 maggio).
Le Sezioni unite civili, in sintesi, hanno ritenuto nulli tre contratti di interest rate swap stipulati (tra il maggio 2003 e l'ottobre del 2004) fra un Comune e una banca, poiché, nonostante la presenza di clausole upfront, questi non avevano ricevuto l'approvazione del consiglio comunale, sempre necessaria per le operazioni di indebitamento.

La «storia»
Nel corpo della sentenza, tuttavia, si trovano molti passaggi indispensabili per ricostruire la complessa materia dei derivati, che appare oltre modo utile approfondire, anche per la loro intrinseca e innegabile qualità tecnica.
In primo luogo, è stato affermato che, in base alla disciplina vigente fino al 2013 (quando la legge 147/2013 ne ha escluso in toto la possibilità) e alla distinzione tra derivati di copertura e derivati speculativi, a seconda del relativo diverso grado di rischiosità, solo nel primo caso l'ente locale fosse legittimato a procedere alla loro stipula. Soltanto a fronte di derivati di copertura, difatti, l'alea sarebbe stata calcolata secondo criteri riconosciuti e oggettivamente condivisi e, per questo motivo il legislatore ha "autorizzato" unicamente questo genere di scommesse sul presupposto della loro utilità sociale.
Anche nel caso di derivati di copertura, però, bisogna seguire, per giudicare della loro regolarità, un approccio caso per caso. Nei casi in esame, l'assenza dell'indicazione del cd. mark to market, elemento essenziale del contratto e integrativo della sua causa tipica (cioè un'alea razionale e misurabile) da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla finalità di copertura o speculativa e il riconoscimento di un upfront, hanno fatto propendere per la nullità dei contratti.
I derivati di copertura, pertanto, anche prima del divieto del 2013, potevano ritenersi legittimi solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell'oggetto contrattuale, comprensiva sia del mark to market, sia degli scenari probabilistici, sia dei cosiddetti costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo il rischio e di rendere edotto l'ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto. L'alea, difatti, rappresenta una pesante eccezione nell'ambito delle regole della contabilità pubblica, poiché introduce variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio.

Gli «upfront»
In secondo luogo, si precisa che gli upfront costituiscono indebitamento ai fini della normativa di contabilità pubblica e dell'articolo 119 della Costituzione, anche per il periodo antecedente l'approvazione dell'articolo 62, comma 9, del decreto legge 112/2008. In modo puntuale, però, i giudici affermano che se l'upfront è da considerare indebitamento, lo stesso non può dirsi degli Irs conclusi dagli enti pubblici, i quali possono (a nostro parere, in realtà, debbono) presupporre un indebitamento sottostante. A volte, però, gli swap, di fatto, possono avere un effetto di sostanziale indebitamento, come nel caso in cui gli Irs vengano utilizzati alla stregua di mutui e, con essi, in concreto, si modifichi e si gestisca il livello dell'indebitamento.
Proprio la presenza di un upfront, ovvero di una forma di indebitamento e la capacità dei derivati di impegnare i bilanci per gli esercizi successivi, fa rientrare la competenza alla loro stipula fra quelle che l'articolo 42, comma 2, lettera i), del Tuel, riserva al consiglio comunale. Nel momento in cui l'Irs incida sull'entità globale dell'indebitamento dell'ente, l'operazione, a pena di nullità, deve essere, dunque, autorizzata dal consiglio comunale.

La nullità degli atti di indebitamento
Per chiudere una considerazione sugli effetti della nullità. La nullità degli atti con cui gli enti territoriali ricorrano all'indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell'articolo 119 della Costituzione, è prevista dall'articolo 30, comma 15, della legge 289/2002.
La nullità si declina in due categorie. Vi è la nullità civilistica, come nel caso di specie, la cui declaratoria spetta al giudice civile. A lato di questa, però (Corte conti Umbria, Sezione giurisdizionale, n. 184/2011) si configura una nullità contabile, che deve essere dichiarata dalla Corte dei conti, dalla quale deriva la necessità di rideterminare in termini di competenza, in modo virtuale, la differenza del risultato di bilancio negli anni interessati. Gli enti, poi, debbono apportare al bilancio dell'esercizio nel quale è data esecuzione alla sentenza, le modifiche "reali" conseguenti alla dichiarazione della nullità. Ciò al fine di ripristinare i corretti valori di bilancio.
Dalla dichiarazione della nullità civilistica deriva la caducazione ex tunc degli effetti del derivato fra le parti, con l'obbligo di restituzione degli scambi monetari intercorsi tra le parti stesse durante la sua vigenza. Nel caso in esame, la banca è tenuta a restituire al comune il saldo positivo concretizzatosi a suo favore a seguito degli scambi differenziali intercorsi nel periodo precedente alla sentenza.
La dichiarazione di nullità "contabile", invece, implica che l'ente debba rideterminare virtualmente, ora per allora, la differenza di risultato dei documenti contabili, a causa della dichiarata nullità e imputare agli equilibri dell'esercizio in corso l'eventuale disavanzo emerso oppure, come nel caso esaminato, la maggiore entrate straordinaria.

La sentenza della Cassazione n. 8770-2020

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