Fisco e contabilità

Tia2, l'ultima parola sull'Iva spetta alla Corte costituzionale

di Luigi Lovecchio

La Tia2 è una entrata corrispettiva, in quanto è correlata all'effettiva fruizione del servizio. Pertanto, a differenza della Tia1, non è soggetta a Iva. Le sentenze gemelle n. 8631 e n. 8632 delle Sezioni Unite della Cassazione, pongono dunque fine al contrasto insorto in seno alla terza sezione civile (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa dell'8 maggio).

Il problema era sorto dopo che la terza sezione della Suprema Corte, con l'ordinanza interlocutoria n. 23949/2019, si era consapevolmente allontanata dai numerosi precedenti in termini che si erano invece espressi a favore della natura privatistica della Tia 2. L'ordinanza aveva in particolare osservato come il prelievo, seppure qualificato ope legis come entrata corrispettiva, desse luogo a una operazione meramente di facciata dietro la quale si ripresentavano, pressocché identici, i tratti distintivi della Tia1 (articolo 49, Dlgs 22/1997), considerata entrata tributaria dai giudici di vertice (Corte costituzionale, n. 238/2009). Vale in proposito ricordare che la Tia2, istituita con l'articolo 238 del Dlgs 152/2006, dopo una complicata evoluzione normativa, ha trovato la normativa di attuazione nello stesso Dpr 158/1999, che costituisce la base della Tia1. Se non che l'articolo 14, comma 33, del Dl 78/2010, proprio per prevenire similitudini con la tariffa Ronchi, con una formulazione di sapore interpretativo, ne aveva dichiarato la natura corrispettiva.

Le Sezioni unite hanno affermato che, davanti a una norma interpretativa, non è dato al giudice procedere direttamente alla riqualificazione dell'entrata, sulla base degli elementi strutturali del prelievo. A questo scopo, occorre infatti sollevare questione di legittimità costituzionale, evidenziando il fondato sospetto che la norma interpretativa non estrapoli uno dei significati possibili della disciplina interpretata. Questo però non è il caso della Tia2. Ciò, in ragione del fatto che l'articolo 238 del Dlgs 152/2006 prevede come fatto generatore del prelievo «la produzione di rifiuti, ancorando il debito all'effettiva fruizione del servizio». Vale evidenziare come le Sezioni unite omettano qualunque riferimento al Dpr 158/1999, che tutt'al contrario è fondato su meri indici presuntivi di produttività di rifiuti. Da qui la conclusione in favore della conferma della natura privatistica della Tia2 e il suo conseguente assoggettamento a Iva.

Al riguardo si impongono due osservazioni. La prima è che, avendo correlato il prelievo all'effettiva fruizione del servizio, diventa molto difficile legittimare l'applicazione della tariffa piena ai casi in cui è conclamato il ridotto o nullo conferimento dei rifiuti (si pensi alle seconde case). Questo vale anche per l'attuale Tari puntuale, poiché, ancor più alla luce delle Sezioni unite, una entrata corrispettiva è tale solo se presenta un chiaro collegamento con il servizio reso, senza applicazione indiscriminata, ad esempio, di svuotamenti minimi obbligatori. Sotto il profilo del trattamento Iva, il giudice di legittimità ha richiamato una pronuncia della Corte Ue (C-182/17) secondo cui, pur in presenza di un contratto pubblico con determinazione forfetaria del corrispettivo, sorge il presupposto del tributo. Nel caso del prelievo sui rifiuti, tuttavia, non vi è mai un contratto a monte, poiché non ci si può sottrarre alla privativa comunale.

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