Personale

Contrattazione decentrata, con la riapertura dei tavoli errori e illegittimità del «passato»

di Luca Tamassia

La stagione della contrattazione collettiva integrativa decentrata è entrata nel vivo con l’arrivo del nuovo anno, quando tradizionalmente si riaprono le trattative annuali per raggiungere gli accordi di secondo livello, momento di non poco rilievo per l’applicazione degli istituti economici previsti dall’assetto contrattuale nazionale e decentrato che interessa l’intero impiego pubblico. Con il rinnovato appuntamento negoziale, tuttavia, si ripropongono vizi e difetti che hanno costellato, anche nel recente passato, comportamenti contrattuali e contenuti negoziali, perpetuando diffusi profili di illegittimità, anche gravi, in grado di minare, alla radice, le clausole contrattuali che si vanno sottoscrivendo e di generare, fatalmente, corrispondenti spazi di responsabilità.

 

Errori ed illegittimità

Le condotte violatorie, come gli istituti economici che ne pagano il prezzo, non sono limitate ad aspetti marginali, bensì si estendono a ricomprendere ogni ambito d’intervento negoziale decentrato, esondando dai limiti imposti dall’ordinamento sia contrattuale che legale, ciò che, progressivamente, ha assunto caratteri di una certa preoccupazione per la diffusione del fenomeno e per la sua ancora attuale persistenza nei sistemi di gestione integrativa degli strumenti pattizi. Ad un’attenta osservazione dei meccanismi di confronto ai tavoli contrattuali decentrati e degli esiti documentali che questi producono, infatti, si può rilevare come vi siano tratti comuni di trasgressione normativa che appaiono più recidivi di altre violazioni, come se fossero profondamente radicati in un’estesa convinzione di coerenza al quadro normativo e in una cultura dell’assoluta indifferenza ai meccanismi sanzionatori che ne accompagnano l’inosservanza, con buona pace dei principi generali e delle disposizioni contrattuali che regolano tali ambiti di intervento. Da un esame di tali comportamenti, pertanto, può tracciarsi un perimetro sufficientemente attendibile degli errori e delle conseguenti illegittimità ascrivibili alla distorsione normativa che ne accompagna la produzione, in uno con la scarsa consapevolezza degli effetti dannosi che tali condotte sono in  grado di originare, vulnerando quell’interesse pubblico che, sempre più imponendosi il condizionale, dovrebbe essere adeguatamente tutelato dal titolare di tali poteri e facoltà: l’amministrazione pubblica.

Alterazioni delle norme
In questa sede, pertanto, possono delinearsi alcune alterazioni dell’apparato normativo che regola la materia che appaiono di maggior diffusione attuativa presso gli enti e che, proprio per questa ragione, risultano maggiormente insidiose per il consolidamento applicativo che esse hanno, nel tempo, generato, come di seguito sinteticamente rappresentato.

Contratti collettivi decentrati integrativi
La prima considerazione attiene ad un’alterazione, la più estesa, che consiste nel conferire efficacia retroattiva ai contratti collettivi decentrati integrativi mediante una stipula che, intervenendo a notevole distanza di tempo rispetto al periodo che s’intenderebbe disciplinare, retroagisce anche di anni rispetto alla data della sottoscrizione. Tale clausola, infatti, appare irrimediabilmente nulla per violazione di principi ordinamentali generali e di specifiche disposizioni recate dal contratto nazionale di lavoro. Sotto il primo profilo, in vero, la retroattività pretesamente operata dalle parti contrattuali trasgredisce il generalissimo principio d’irretroazione normativa statuito dall’articolo 11 delle preleggi (“Disposizioni sulla legge in generale”), il quale prescrive che la legge non possa dispone che per l'avvenire, non potendo avere effetto retroattivo, nonché, per l’interesse che assume per quanto qui rilevato, che i contratti collettivi di lavoro possano stabilire, per la loro efficacia, una data anteriore alla pubblicazione, purché non preceda quella della stipulazione, assumendo, quindi, il momento della sottoscrizione quale limite temporale di decorrenza degli effetti da questi prodotti. Con riferimento al secondo parametro di violazione, poi, la clausola retroattiva del negozio collettivo decentrato integrativo origina un’evidente inosservanza del precetto contrattuale di cui all’articolo 5, comma 4, del Ccnl 1° aprile 1999 del comparto Autonomie locali, il quale afferma chiaramente il principio di ultrattività del contratto decentrato, stabilendo che i contratti collettivi decentrati integrativi conservano la loro efficacia fino alla stipulazione dei successivi contratti di competenza di tale livello di contrattazione, non potendosi configurare, quindi, improbabili soluzioni di continuità della regolazione dei rapporti contrattuali di secondo livello che l’ipotesi retroattiva fatalmente produrrebbe, venendosi in tal caso a determinare, ai sensi dell’articolo 4, comma 5, dello stesso Ccnl, un’ipotesi di nullità della corrispondente clausola sottoscritta (cfr. citato comma 5: “I contratti collettivi decentrati integrativi non possono essere in contrasto con vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali (…). Le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate.). Il contratto collettivo decentrato integrativo, dunque, non può valere che per il futuro e ciò vale anche per il collettivo integrativo che disciplina i criteri di destinazione delle risorse decentrate a valere sul relativo fondo, di talché, quindi, sino alla stipula del successivo, continua a produrre effetti giuridici l’ultimo negozio sottoscritto in sede decentrata il quale, proprio per effetto di tale quadro di principi, non può essere inciso o, comunque, modificato dal successivo contratto sottoscritto dalle parti, in quanto il primo ha già prodotto i propri effetti giuridici sino a quel momento, a prescindere da un’espressa o meno volontà delle parti in tal senso.

Progressioni orizzontali
Un’altra osservazione attiene agli effetti retroattivi riconosciuti all’esperimento delle progressioni orizzontali, istituto economico tornato di gran modo all’indomani del superamento dei limiti individuali imposti dall’ordinamento vincolistico in materia (articolo 9, comma 1, del Dl n. 78/2010). L’applicazione degli effetti prodotti dalla valutazione delle prestazioni di lavoro propedeutica al riconoscimento del beneficio economico a favore del lavoratore, infatti, non può essere certamente retroattiva, neppure nei limiti dell’anno di riferimento nel corso del quale è avvenuta la valutazione, come sostenuto dalla stessa Agenzia di rappresentanza negoziale in taluni pareri resi in materia, nell’ambito dei quali la stessa ammette la possibilità di un limitato effetto retroattivo del riconoscimento economico conseguente all’attribuzione della progressione orizzontale (tra i tanti, RAL n. 270, n. 275, n. 267). Tale posizione, infatti, non può essere ritenuta condivisibile alla luce del peculiare meccanismo giuridico che presiede l’applicazione di tale particolare istituto, laddove il momento valutativo costituisce presupposto, insieme, necessario e costitutivo del diritto economico conseguente all’applicazione dell’istituto, il cui riconoscimento con effetti retroattivi, anche di breve periodo, vale a disconoscerne la reale portata genetica. In altri termini, a ben osservare, l’azione valutativa operata dal dirigente - come, peraltro, in qualsiasi altro meccanismo oggetto di considerazione ai fini del riconoscimento di posizioni giuridiche o economiche irretrattabilmente migliorative della posizione del lavoratore o migliorative in funzione del periodo temporale di affidamento di un incarico (si pensi, ad esempio, alle progressioni di carriera o alla cosiddetta pesatura delle posizioni organizzative) - ha chiara natura costitutiva del diritto patrimoniale conseguente all’applicazione della progressione economica e non invece, conformemente a quanto potrebbe deporre un’applicazione retroattiva, natura meramente dichiarativa di un diritto già sorto in precedenza, in particolare in un momento antecedente alla valutazione delle prestazioni. 

Fondi del salario accessorio
Un ulteriore rilievo merita l’aspetto relativo alla negoziazione della destinazione delle risorse economiche appostate sui fondi di alimentazione del trattamento accessorio dei dipendenti. Ancora oggi, invero, sono troppe le amministrazioni che, violando un chiaro precetto contrattuale, segnatamente per quanto attiene al disposto di cui all’articolo 4, comma 2, lett. a), del Ccnl 1° aprile 1999 (cfr.: “In sede di contrattazione collettiva decentrata integrativa sono regolate le seguenti materie: a) i criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie, indicate nell’art. 15, per le finalità previste dall’art. 17, nel rispetto della disciplina prevista dallo stesso articolo 17;”), fanno oggetto di apposita contrattazione decentrata integrativa annuale non solo i criteri di ripartizione e destinazione delle risorse appostate sul fondo di finanziamento del salario accessorio dei dipendenti, come espressamente prescritto dalla richiamata clausola, bensì, superando il limite imposto dall’ordinamento collettivo primario, conducono le trattative di secondo livello ed esitano il relativo accordo decentrato destinando appositi valori economici a favore dei diversi istituti economici alimentati dal fondo (progressioni orizzontali, premialità, indennità ecc.), violando, in tal modo, il confine dettato dal Ccnl e, per tale ragione, colpendo di nullità e di conseguente impossibilità applicativa la relativa clausola sottoscritta in sede decentrata, ai sensi del ridetto art. 4, comma 5, del Ccnl del 1999.  Si stenta a comprendere, infatti, con ogni probabilità in funzione di una dannosa ricerca di pace sociale con le istanze sindacali, che la determinazione dei valori economici di destinazione rappresenta un momento gestionale di utilizzo delle risorse e non, viceversa, come esplicitamente voluto dal contratto collettivo nazionale, un ambito di confronto politico con i rappresentanti dei lavoratori. Negoziare valori, in altre parole, significa invitare le organizzazioni sindacali ad un tavolo di cogestione del sistema di destinazione dei valori economici allocati sul fondo, ruolo che l’ordinamento contrattuale e legale rifugge espressamente in capo alle stesse, con il bel risultato di mediare l’interesse pubblico ad una corretta ed economica erogazione dei servizi da parte dell’amministrazione datoriale con la logica protezionistica e particolare del sindacato, conciliazione del tutto improponibile nell’attuale assetto di distinzione delle posizioni ricoperte dalle parti contrattuali. Contrattare i valori di destinazione delle risorse economiche, quindi, oltre che produrre effetti dannosi in pregiudizio dell’interesse della collettività trasgredendo irretrattabili limiti imposti dal contratto collettivo di primo livello, conduce a negare il confronto politico sull’utilizzo delle risorse che dovrebbe contraddistinguere il rapporto tra le parti negoziali, tenuto conto che i criteri di destinazione e ripartizione indicati dalla norma negoziale sopra ricordata altro non sono che le politiche d’impiego delle risorse pubbliche e non la loro diretta gestione ad opera delle organizzazioni sindacali. La nullità della relativa clausola, quindi, dovrebbe far riflettere gli attori di tale sistema, se non per una necessaria crescita culturale, almeno per le rilevanti responsabilità cui si espone la parte pubblica, unico reale deterrente nell’attuale regime sanzionatorio che consegue all’improduttività di effetti giuridici riconosciuto alla nullità della norma contrattuale. Si segnala, al riguardo, un interessante contributo reso, al riguardo, dall’Agenzia negoziale nell’ambito di un’apposita guida rubricata: “Possibili contenuti di un contratto decentrato integrativo. Indice ragionato”, diffusa sul sito istituzionale dell’Agenzia stessa nel marzo del 2013. Il prezioso contributo, infatti, per quanto attiene alla particolare questione dell’oggetto negoziale in materia di destinazione delle risorse economiche allocate sul fondo di finanziamento del salario accessorio del personale dipendente, si esprime, e non sarebbe potuto essere diversamente, esclusivamente per la negoziazione dei criteri di destinazione e non dei valori economici della stessa. La lettura di pagina 9 del contributo, infatti, non lascia alcun margine di dubbio, in quanto l’Agenzia afferma, a chiare lettere, che in base all’articolo 4, comma 2, lett. a), del Ccnl del 1° aprile 1999, spetta al contratto integrativo definire i criteri per la ripartizione e destinazione delle risorse finanziarie disponibili, quantificate nel rispetto delle previsioni dell’articolo 15 del Ccnl del 1° aprile 1999, alle varie finalità indicate nell’articolo 17 del medesimo Ccnl, secondo le regole e le modalità stabilite da tale ultima clausola contrattuale. Sulla base di tale regolamentazione, quindi, il primo compito del contratto integrativo è proprio la definizione dei criteri per “distribuire” le risorse disponibili tra le diverse finalità di utilizzo, tenendo conto delle caratteristiche delle stesse. Aggiunge, molto opportunamente, l’Agenzia negoziale che questa scelta può essere effettuata anche con contratti integrativi annuali, anche se, in questo ambito, può essere utile definire criteri di distribuzione anche per gli anni successivi, salvo nuovo contratto integrativo. Tale opzione consentirebbe di evitare gli inconvenienti connessi al mancato rinnovo del contratto integrativo in tempo utile, con conseguente necessità di ricorso alla prorogatio del precedente contratto integrativo.

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