Personale

Partecipate, il personale assunto non può fare la «mobilità»

di Marco Rossi

Non è possibile considerare come dipendenti di altra amministrazione pubblica le unità di personale assunte da una società partecipata al 100% da un ministero attraverso le procedure aziendali pubbliche previste dalla normativa vigente, con la conseguenza che è da ritenere preclusa l'applicabilità dell'istituto della mobilità.
È quanto ha stabilito una pronuncia della Sezione regionale di controllo della Campania della Corte dei conti (n. 56/2017) rispondendo a una specifica richiesta di parere di un ente che voleva verificare la possibilità, e la conseguente legittimità, di un'operazione di “passaggio” per mobilità di un dipendente che era stato assunto in una società a totale partecipazione pubblica ricorrendo alle procedure normativamente previste per queste ultime (si veda anche il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 4 maggio 2017).

La decisione
Secondo quanto stabilito dall'articolo 19 del Dlgs 175/2016 (e in precedenza, in modo anche più “forte”, dall'articolo 18 della legge 133/2008), infatti, «le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3» del Dlgs 165/2001, dovendosi quindi richiamare alla disciplina introdotta per le amministrazioni pubbliche ai fini delle assunzioni di personale.
Nondimeno, secondo la pronuncia, tale contesto normativo non è sufficiente per ipotizzare una vera e propria mobilità tra una società integralmente partecipata e una pubblica amministrazione, in considerazione dell'assoluta specialità e specificità dell'istituto recato dall'articolo 30 del Dlgs 165/2001 relativo al «Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse».
Di conseguenza, proprio in considerazione della differente collocazione sistematica della disciplina, la fattispecie della mobilità non è in alcun modo applicabile in maniera generalizzata al settore del personale delle società a partecipazione pubblica, in relazione alle quali è destinato a operare solo nei ristretti ambiti soggettivi e oggettivi, legislativamente consentiti, di «reinternalizzazione di funzioni o servizi esternalizzati» e di «riassorbimento delle unità di personale già dipendenti a tempo indeterminato da amministrazioni pubbliche e transitate alle dipendenze della società interessata dal processo di reinternalizzazione».
Tale conclusione, inoltre, trova un imprescindibile fondamento anche nell'esigenza di non eludere i precetti contenuti nell'articolo 97 della Costituzione, che garantiscono in modo rigoroso il percorso di accesso alle pubbliche amministrazioni esclusivamente tramite la procedura del concorso pubblico.

Il supporto della Consulta
A conferma, è giustamente ricordato l'insieme delle pronunce della Corte costituzionale che hanno censurato le leggi regionali che consentivano i meccanismi di reinternalizzazione attraverso il passaggio automatico dall'impiego privato (società partecipata) a quello pubblico (Ente territoriale), ritenendo che l'operazione di trasferimento avrebbe realizzato un'ipotesi di «inquadramento riservato senza concorso» anche nei casi in cui il personale dipendente da una società partecipata fosse stato assunto ab origine in seguito all'espletamento di una procedura selettiva equiparabile a un concorso pubblico.
A tali argomenti, di per sé decisivi, poi, si dovrebbe aggiungere anche la questione, non banale, del rispetto dei molteplici vincoli che caratterizzano il personale delle amministrazioni locali, in ordine agli spazi assunzionali, ai “tetti” di spesa, al pareggio di bilancio e più genericamente ai vincoli di finanza pubblica.
In relazione a tali aspetti, infatti, ammettere la legittimità di un ricorso a procedure di mobilità tra “partecipate” ed enti pubblici equivale ad eludere o quantomeno allentare tali vincoli, che sono destinati a garantire determinate limitazioni alle dinamiche evolutive caratterizzanti il principale aggregato di spesa delle pubbliche amministrazioni.
Di conseguenza, sussiste per la magistratura una fondamentale differenza tra le «procedure aziendali pubbliche» (anche se risalenti, quantomeno a livello di principio, al testo Unico del Pubblico Impiego) utilizzate dalle società pubbliche e le «procedure concorsuali pubbliche», specificamente stabilite per le pubbliche amministrazioni, con l'effetto di non rendendo utilizzabili taluni istituti (come la mobilità del personale) specificamente disciplinate per queste ultime.

La delibera della Corte dei conti Toscana n. 56/2017

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